Tumore al seno: conoscere ll DNA delle cellule tumorali vuol dire evitare chemio in una percentuale di casi
Anche il tumore del seno ha il suo ”DNA”: conoscerlo e’ la chiave per stabilire non solo l’evoluzione della malattia ma soprattutto la migliore cura, la piu’ efficace, quella strettamente necessaria e senza conseguenze quali tossicita’ e impoverimento della qualita’ della vita.
Nella maggior parte dei tumori la scelta terapeutica e’ gia’ iscritta nella storia genetica, ma in altri la combinazione di alcune caratteristiche – malattia allo stadio iniziale con l’espressione del recettore per l’estrogeno (ER+) o per il Progesterone (PgR+) e linfonodi negativi – traccia un profilo che lascia di fronte all’incertezza di un trattamento solo ormonale (quello standard sempre somministrato in caso di tumore del seno) o con l’aggiunta anche di chemioterapia. Per dare risposta a questo quesito non basta piu’ affidarsi solo ai parametri tradizionali, con il rischio di andare incontro a un sovra o sottotrattamento. E’ un problema che conosce bene anche il Lazio, dove le nuove diagnosi di tumore del seno sono ogni anno 4.200, quasi 2.000 casi solo a Roma, di cui circa il 15% ”dubbiosi”. Come risolvere e scegliere, dunque, in questi casi limite la terapia ad hoc per la firma del tumore? Con un test innovativo che rivoluziona l’approccio terapeutico alla malattia: si preleva un campione di tessuto malato, nel corso dell’intervento o di una biopsia, e su questo si esegue uno studio ”genomico”, su 21 geni specifici analizzandone l’interazione, la funzionalita’ – ovvero il preciso profilo molecolare – che permette di ipotizzare se il tumore e’ destinato a ripresentarsi a 10 anni dalla diagnosi e soprattutto se le chemioterapia e’ necessaria. Con una risposta a questi delicati aspetti, grazie al test, quasi a tempi zero: 10-14 giorni al massimo. Fondamentale e’ che il test venga eseguito prima dell’inizio di qualsiasi decisione al trattamento: dai dati in letteratura in un terzo delle pazienti, l’oncologo ha potuto modificare il piano terapeutico evitando la chemioterapia in un quarto e aggiungendola nel 5-10% delle pazienti. E’ questo il tema delicato affrontato in occasione del ”Forum internazionale’ sui test genomici che puntano alla massima personalizzazione della cura. ”Disporre di un test genomico che si affianchi agli altri parametri di tipo anatomo-clinico e biologico – dichiara Francesco Cognetti, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena – IFO di Roma – consente di effettuare una indagine sulla natura del tumore molto piu’ raffinata.
Oggi questo tipo di analisi, mirate alla definizione della prognosi, e’ comunque possibile ma avviene solo tramite una valutazione immunoistochimica che si effettua sul pezzo istologico”. ”E’ un traguardo molto importante – aggiunge Riccardo Masetti, direttore dell’Unita’ Operativa di Chirurgia Senologica del Policlinico Universitario ‘Agostino Gemelli’ di Roma – se si considera che in Italia i nuovi casi di tumore del seno si aggirano, ogni anno, intorno ai 40 mila di cui 4.200 nel Lazio e quasi 2.000 solo a Roma. All’interno di essi, esiste una proporzione del 10-15% dei tumori ormonodipendenti nei quali la scelta delle terapie post-chirurgiche risulta davvero difficile. In questi casi un test genomico che dia indicazioni piu’ chiare sui rischi di ripresa della malattia e sui benefici della terapia puo’ fare la differenza, aiutando il medico a valutare meglio la reale efficacia di un trattamento chemioterapico aggiuntivo alla normale terapia ormonale, e offrendo alla paziente maggiori garanzie sull’efficacia di tale trattamento”.