Malattie muscolari ereditarie: il gene che si comporta male

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Malattie muscolari ereditarie: il gene che si comporta male

Le cellule muscolari scheletriche con nuclei distanziati irregolarmente o posti in posizioni anomale sono segni rivelatori di malattie muscolari ereditarie come la distrofia muscolare di Emery-Dreifuss (EDMD), che insorge una ogni centomila nascite, o come la miopatia centronucleare, che colpisce uno ogni cinquantamila neonati.

Ma cosa va storto durante la miogenesi – la formazione e il mantenimento del tessuto muscolare – da innescare queste patologie ereditarie? Un nuovo indizio arriva da uno studio presentato all’Annual Drosophila Research Conference. La ricerca, condotta dalla Weill Cornell Graduate School of Medical Sciences e dallo Sloan Kettering Institute of Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, si e’ concentrata su un gene noto come Sunday Driver (Syd), identificandolo come nuovo regolatore della miogenesi.  I test sono stati effettuati sui moscerini della frutta. Il Syd dei moscerini codifica una proteina che interagisce con i fattori corticali che stimolano la proteina motoria Dynein a spingere i nuclei muscolari in posizione. Lavorando su mutazioni del gene Syd in muscoli embrionali e larvali dei moscerini della frutta, i ricercatori hanno scoperto che i nuclei nelle cellule muscolari si distanziano e raggruppano irregolarmente in presenza delle varianti. Dalle analisi e’ emerso anche che la segnalazione del JNK (c-Jun N-terminal kinase) e’ fondamentale per la corretta organizzazione intracellulare.

In assenza di questa segnalazione, le proteine Syd e Dynein sono limitate allo spazio circostante il nucleo cellulare mentre l’iperattivita’ del JNK consente il trasporto della Syd e della Dynein sulla corteccia cellulare alle estremita’ muscolari, inibendo quelle funzioni che lavorano per portare i nuclei muscolari nelle posizioni corrette. Un difetto che puo’ essere corretto attraverso l’espressione della JIP3 (JNK Interacting Protein 3), l’omologo dei mammiferi della Syd della Drosophila, risultato che suggerisce che queste attivita’ cellulari si sono mantenute nel tempo dalle mosche all’uomo.

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