Barriera sangue-cervello: un nuovo meccanismo per superarla

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L’impermeabilità della barriera ematoencefalica alla grande maggioranza delle molecole è legata anche al blocco di un meccanismo di trasporto delle sostanze, la transcitosi, che è invece attivo negli altri tessuti.

La scoperta del gene che inibisce la transcitosi prospetta la possibilità di riattivare questo meccanismo quando sia necessario far arrivare al cervello farmaci.

Un inaspettato meccanismo che permette di controllare la permeabilità della barriera emato-encefalica è stato individuato da ricercatori della Harvard Medical School, che lo descrivono href=”http://dx.doi.org/10.1038/nature13324″>su “Nature”. La scoperta potrebbe avere significative ricadute per la terapia delle patologie cerebrali.

La barriera emato-encefalica è la struttura che seleziona le molecole che possono passare dal sangue al liquido cefalorachidiano che bagna il cervello. Essenziale per conservare il delicato ambiente che circonda questo organo, è un ostacolo formidabile ai farmaci che potendo raggiungere il cervello potrebbero curare infezioni o tumori. “Attualmente, il 98 per cento delle piccole molecole farmacologiche e il 100 per cento di quelle grandi e degli anticorpi non riesce ad attraversare la barriera emato-encefalica”, spiega Chenghua Gu, che ha diretto la ricerca.

I precedenti tentativi di manipolare il passaggio della barriera si erano concentrati sulle cosiddette giunzioni strette, strutture proteiche che sigillano gli interstizi fra cellule vicine e che lasciano filtrare solo poche specifiche molecole. Lavorando sui topi, Chenghua Gu e colleghi hanno però individuato un gene, chiamato Mfsd2a, che, solitamente silente, è invece attivo nelle cellule della membrana ematoencefalica.

E’ risultato che Mfsd2a inibisce un secondo meccanismo di trasporto delle molecole attraverso le barriere corporee, la transcitosi. Questo meccanismo – attivo in tutte le altre barriere che isolano altri organi, ma non in quella ematoencefalica – è un processo in cui le sostanze sono trasportate attraverso le cellule che formano la barriera grazie a vescicole in cui vengono inglobate. È il primo inibitore mai identificato per transcitosi, sottolinea Gu. “Si apre ora la possibilità di progettare nuove strategie per fornire farmaci al sistema nervoso centrale.”

Ma non solo. Dato che alcune malattie del cervello, come Alzheimer, sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e sclerosi multipla, sembrano coinvolgere anche un parziale degrado della barriera ematoencefalica, il potenziamento dell’attività del gene Mfsd2a, potrebbe consentire ai medici di rafforzare la barriera, tornando a impedire l’accesso al cervello, per esempio, ad anticorpi indesiderati capaci di aggredire i neuroni.

Una migliore comprensione e la capacità di manipolare le basi molecolari della transcitosi potrebbe inoltre essere di aiuto nel trattamento di altre malattie che colpiscono anche tessuti differenti in cui la transcitosi ha un ruolo, come alcune patologie che interessano l’intestino, i reni e la retina.

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