Cancro ovarico: nuove speranze da terapia combinata
E’ quanto emerge da uno studio di fase II presentato al congresso di oncologia Asco a Chicago. Nel 2013 in Italia si stima si siano registrati 4.800 nuovi casi
CHICAGO – L’ovaio è uno degli organi che ha ricevuto meno benefici dai progressi dell’oncologia. Ma due ricerche presentate qui all’Asco di Chicago promettono notevoli passi in avanti. Una terapia combinata di due farmaci innovativi aumenta significativamente la sopravvivenza detta “libera da progressione” in cui il tumore sembra fermo e i sintomi non riducono troppo la qualità della vita, nelle donne malate di tumore all’ovaio.E’ quanto emerge da uno studio di fase II presentato al congresso di oncologia Asco a Chicago. I due farmaci combinati sono l’olaparib, inibitore PARP, e il farmaco anti-angiogenesi cediranib.
La sperimentazione. La sopravvivenza libera da progressione è stata di 17,7 mesi con il trattamento combinato, rispetto ai nove mesi con il solo olaparib. ”La significativa attività che abbiamo riscontrato con questa combinazione sembra dimostrare che abbiamo a che fare con un’alternativa efficace alla chemioterapia standard”, ha sostenuto l’autore dello studio, Joyce Liu, professore di oncologia medica al Dana-Farber Cancer Institute delal Harvard University a Boston. ”Questo strategia combinata non è ancora disponibile per la pratica clinica, nessuno di questi farmaci è ancora approvato dalla FDA per il tumore ovarico o per qualsiasi altro tipo di tumore. Abbiamo anche bisogno di ulteriori studi clinici per confermare i risultati di questo studio”. Lo studio combina per la prima volta un inibitore PARP e un farmaco anti-angiogenico, un trattamento che non è mai stato esplorato prima in uno studio clinico per il cancro ovarico. Il PARP è un enzima coinvolto in varie funzioni all’interno di una cellula, tra cui la riparazione del danno al DNA, mentre i farmaci anti-angiogenici contrastano la crescita dei vasi sanguigni del tumore. Lo studio conferma quanto osservato negli animali da laboratorio: olaparib e cediranib “sinergizzano”, nel senso che si potenziano a vicenda e l’effetto terapeutico finale è maggiore della somma dei due effetti misurati separatamente. Purtroppo si è osservato anche un aumento della tossicità.
“Se questa sinergia si traduce in un aumento della sopravvivenza consistente dovrà essere confermato con sperimentazioni sui malati più ampi e lunghe – ha spiegato Don Dizon esperto ASCO – Questa combinazione di farmaci, che si somministrano per bocca, è indicata per le donne con tumori ovarici sierosi di alto grado o tumori ovarici correlati a mutazione BRCA”.
I dati. Nel 2013 in Italia si stima si siano registrati 4.800 nuovi casi di tumore ovarico, circa il 3% del totale dei tumori diagnosticati tra le donne. Più di 140.000 donne in tutto il mondo muoiono ogni anno a causa di questa malattia. Il carcinoma ovarico ha il più basso tasso di sopravvivenza tra tutti i tumori ginecologici (45% contro, ad esempio, l’89% del tumore al seno). Si stima che il 70% delle diagnosi avviene in fase avanzata, ossia quando il tumore è già diffuso alle strutture circostanti e non è operabile. Il carcinoma ovarico rientra tra le prime 5 cause di morte per tumore tra le donne tra i 50 e i 69 anni (7% del totale dei decessi).
La fertilità. Mettere a riposo le ovaie in caso si debba affrontare una chemioterapia, le risparmia da buona parte degli effetti tossici della cura e aumenta le probabilità di fare figli quando vengono riattivate, una volta che si è guarite.
E’ quanto risulta da una ricerca presentata al congresso di oncologia Asco a Chicago. Le donne che hanno ricevuto Goserelin, un inibitore ormonale, insieme con la chemioterapia, hanno ridotto del 64 per cento il rischio di sviluppare insufficienza ovarica prematura rispetto alle donne che hanno ricevuto la sola chemioterapia. Di conseguenza hanno dimostrato più probabilità di avere gravidanze e di portarle a termine. Inoltre si è avuto un risultato inatteso su cui ora si indagherà ulteriormente: la sopravvivenza è migliorata, con il 50 per cento in più di possibilità di essere vive quattro anni dopo l’inizio della chemio per le donne a cui è stato somministrato l’inibitore ormonale. “Preservare la fertilità è una preoccupazione comune e importante tra le giovani donne con diagnosi di cancro e questi risultati offrono una semplice, nuova opzione per le donne con cancro al seno, e forse anche per altri tipi di tumore”, ha detto l’autore dello studio, Halle Moore della Cleveland Clinic di Chicago.