Carenza di vitamina D: potrebbe causare l’ipertensione
Uno studio pubblicato su The Lancet mette in evidenza come una carenza della vitamina del Sole possa avere un ruolo nello sviluppo di problemi di pressione sanguigna come l’ipertensione
Ora che siamo nella bella stagione, approfittiamone: cerchiamo magari di prendere un po’ di Sole non solo per abbronzarci, ma anche per poter sintetizzare una preziosa vitamina come la D.
Questa vitamina, già nota per essere fondamentale nello sviluppo e mantenimento della salute delle ossa, pare abbia anche un ruolo nel tenere a bada la pressione del sangue, o arteriosa. Una sua carenza, infatti, si ritiene sia causa di ipertensione.
Ad averlo scoperto sono stati i ricercatori australiani dell’University of South Australia, guidati dalla dott.ssa Elina Hypponen, che hanno condotto uno studio di Randomizzazione Mendeliana valutando i dati genetici provenienti dal “D-CarDia collaboration”, che ha coinvolto oltre 146.500 persone di origine europea e provenienti da tutta Europa e Nord America.
Dai risultati emersi, i ricercatori ritengono che controllare e tenere adeguati i livelli di vitamina D siano il modo elettivo per contrastare l’epidemia di ipertensione, visti anche e soprattutto i costi e gli effetti collaterali associati ai farmaci antipertensivi.
In questo studio, i ricercatori hanno usato due comuni varianti genetiche che influenzano i livelli circolanti di 25-idrossivitamina D o 25(OH)D – questi parametri sono generalmente utilizzati per determinare lo stato di vitamina D di una persona.
Hanno così misurato l’effetto causale tra lo stato di concentrazione di vitamina D, la pressione sanguigna e il rischio di ipertensione. Detto ciò, hanno scoperto che per ogni 10% di aumento di 25(OH)D c’è stato un calo della pressione diastolica (-0.29 mmHg) e della pressione sanguigna sistolica (-0.37 mmHg), e un 8,1% di diminuzione del rischio di sviluppare l’ipertensione.
«La Randomizzazione Mendeliana aiuta a determinare la causa e l’effetto, poiché usando dati genetici possiamo meglio evitare confusione, invertire il nesso di causalità, e i bias – spiega la prof.ssa Hypponen – Tuttavia, dato che non possiamo escludere la possibilità che i nostri risultati siano stati generati dal caso, hanno bisogno di essere replicati in modo indipendente in uno studio simile. Sono inoltre necessarie ulteriori ricerche con studi randomizzati e controllati per confermare la causalità e i potenziali benefici clinici di una supplementazione di vitamina D».
I risultati dello studio sono stati pubblicati su The Lancet Diabetes and Endocrinology.