Ipertensione: cambia l’età, cambiano i rischi

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Ipertensione: cambia l’età, cambiano i rischi

Gli esperti europei al Congresso internazionale dell’European Society of Hypertension (Esh) e dell’International Society of Hypertension (Ish) presentano anche nuovi schemi terapeutici che i medici di famiglia possono usare per trattare meglio la patologia . Studiati 12 differenti problemi cardiovascolari in vari gruppi d’età.

Le conseguenze che l’ipertensione può avere sulla salute cardiovascolare cambiano a seconda del tipo di pressione e dell’età. Per esempio, chi ha una pressione massima più alta ha un rischio maggiore di emorragia intracerebrale, angina stabile ed emorragia subaracnoidea, mentre la cosiddetta minima più elevata comporta un maggior rischio di aneurisma dell’aorta addominale. A dirlo è un recente studio britannico pubblicato su The Lancet e presentato oggi al congresso dell’European society of hypertension (Esh) e dell’International Society of Hypertension (Ish), in corso ad Atene fino al 16 giugno.

La ricerca. Si tratta del primo studio che esplora gli effetti della pressione sanguigna sul rischio di 12 differenti problemi cardiovascolari in vari gruppi d’età. I ricercatori hanno esaminato i dati pressori utilizzando le cartelle cliniche elettroniche di un milione e trecentomila pazienti senza evidenti malattie cardiovascolari e con un’età di 30 anni e più, seguiti in media per 5 anni dal loro medico di medicina generale fino al primo evento cardiovascolare. Durante il follow-up i ricercatori hanno registrato 83.098 casi di inizio di qualche malattia cardiovascolare. In ogni gruppo di età, il più basso rischio di malattia cardiovascolare è stato rilevato nelle persone con pressione sistolica pari a 90-114 mmHg e diastolica tra 60 e 74 mmHg.

Il fattore età. I risultati hanno mostrato che anche quando è curata e tenuta sotto controllo, l’ipertensione rimane una minaccia costante nell’arco della vita. Per esempio, un trentenne iperteso presenta un rischio cardiovascolare maggiore del 63% rispetto al 46% di un normoteso e sviluppa una patologia cardiovascolare 5 anni prima. Non solo: lo studio dimostra che esistono differenti tipi di ipertensione in differenti fasi della vita con diversi effetti cardiovascolari.

Le diverse fasi della vita. A 30 anni l’ipertensione non trattata causa nel 43% dei casi angina stabile e instabile, mentre a 80 anni provoca nel 19% dei casi scompenso cardiaco. Curare l’ipertensione sin da giovani. Gli esperti discutono da tempo sull’opportunità o meno di trattare i pazienti con un’ipertensione lieve, ma ora questo studio fornisce nuove prove a supporto della tesi di chi ritiene sia utile trattare anche l’ipertensione lieve nei pazienti più giovani. “I nostri dati forniscono importanti informazioni che possono migliorare il processo decisionale sul trattamento dell’ipertensione, stratificandolo in base alle fasce di età in cui la pressione comincia a salire e alle malattie dove il rischio è più alto” ha spiegato Eleni Rapsomaniki dell’Institute for health informatics farr research di Londra e coautrice dello studio.

Il problema dell’aderenza alla terapia. Ma a qualunque età, resta il problema dell’ipertensione non trattata. Nonostante l’ampia disponibilità di farmaci antipertensivi efficaci, solo il 37% dei pazienti ipertesi tiene sotto controllo la pressione. “La sfida più grande è rappresentata da quei pazienti trattati con svariati regimi terapeutici senza aver raggiunto o mantenuto il controllo della pressione arteriosa” ha esordito al congresso di Atene il professor Roland Schmieder, dipartimento di nefrologia e ipertensione, dell’ospedale universitario tedesco Erlangen (Norimberga) nel corso di un evento organizzato da Daiichi Sankyo. Una delle cause principali di questo mancato risultato è la scarsa aderenza alla terapia: “I pazienti beneficiano della terapia antipertensiva solo quando seguono scrupolosamente la prescrizione medica, ma la realtà” ha proseguito Schmieder “è che ciò accade di rado e questo rende la percentuale di successo a lungo termine generalmente bassa”.

Nuovi schemi terapeutici. Proprio per tentare di migliorare l’aderenza alle terapie attualmente disponibili, gli esperti europei riuniti ad Atene hanno presentato nuovi schemi terapeutici utili ai medici di medicina generale per la gestione dell’ipertensione. Fino ad oggi in numerosi studi clinici, la strategia che si è dimostrata più fruttuosa per risolvere il problema dell’efficacia e dell’aderenza alla terapia è quella legata alla semplificazione del trattamento, con la riduzione del numero di somministrazioni quotidiane di farmaci: “Attualmente sono disponibili terapie a base di compresse in associazione fissa, efficaci e ben tollerate, che migliorano l’aderenza e semplificano il trattamento” ha spiegato il professor Massimo Volpe, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia presso l’Ospedale Sant’Andrea di Roma. Gli schemi terapeutici sviluppati dagli esperti europei riportano l’utilizzo di un inibitore del recettore dell’angiotensina II (ARB) come olmesartan preso singolarmente o associato al calcio antagonista (CCB) amlodipina e/o all’idroclorotiazide.

Un nuovo approccio. Questi schemi non sono un algoritmo né una linea guida, ma rappresentano il tentativo di applicare i risultati degli studi clinici alla pratica quotidiana. “Questo approccio delinea la terapia più appropriata per pazienti con caratteristiche e necessità variabili ed è basato su prove ed esperienze cliniche, linee guida e best practice” ha spiegato lo specialista italiano. “Anche se può essere applicato a qualunque inibitore del recettore dell’angiotensina II, per ragioni pratiche abbiamo utilizzato olmesartan, poiché è un farmaco disponibile in molti Paesi europei sia in duplice associazione a dosi fisse con amlodipina che in triplice con amlodipina e idroclorotiazide”. Usare quindi un’appropriata terapia in un’unica compressa identificata dagli schemi terapeutici potrebbe aiutare i pazienti a migliorare l’aderenza e a raggiungere i target pressori raccomandati.

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