Bicocca e Auxologico studiano gli effetti cardiovascolari del lavoro in alta quota sulla funivia del Monte Bianco

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Logo_Universita_Milano-BicoccaParte domani una spedizione di ricerca sul cantiere della nuova Funivia del Monte Bianco per studiare le risposte dell’organismo dei lavoratori ad alta quota. Ai 50 operai che lavorano tra i 2.200 e i 3.500 metri di altezza della stazione di arrivo saranno effettuati test per misurare, tra l’altro, il comportamento di cuore, pressione arteriosa, polmoni, sonno. La spedizione HIGHCARE Alps-Mont Blanc è coordinata dall’Università di Milano-Bicocca e dall’Istituto Auxologico Italiano.

Milano 24 luglio 2014 – Si chiama HIGHCARE Alps–Mont Blanc la spedizione di ricerca sulle reazioni dell’organismo al lavoro in alta quota organizzata dall’Università di Milano-Bicocca e dall’Istituto Auxologico Italiano in collaborazione con la l’Azienda USL Valle D’Aosta sui cantieri della nuova funivia del Monte Bianco. La spedizione parte domani per concludersi alla fine di agosto. È la prima volta che un così esteso programma di indagini cardiovascolari, respiratorie, ematologiche, neurologiche e vestibolari viene effettuato in un discreto numero di lavoratori a quote così alte, comprese tra i 2.200 e i 3.500 metri.

Saranno circa 50 gli operai coinvolti nell’indagine, distribuiti nella stazione di arrivo di Punta Helbronner a 3.500 metri (30 lavoratori) e nella stazione intermedia del Pavillon a 2.200 metri (20 lavoratori), tutti con un’età compresa tra 21 e 58 anni.

I lavori per la realizzazione della nuova Funivia del Monte Bianco, che collegherà Courmayeur a Punta Helbronner sono iniziati nell’aprile 2011 e termineranno nel 2015. I lavori sono svolti dal Consorzio Cordée Mont Blanc che ha messo i cantieri a disposizione della spedizione di ricerca.

 I lavoratori saranno studiati sia a livello del mare sia in quota per valutare in primo luogo le risposte di pressione arteriosa, a riposo, nelle 24 ore e durante sforzo fisico e, più in generale, gli adattamenti cardiorespiratori e dell’apparato dell’orecchio interno (otovestibolare) ai quali vanno incontro. Oggi infatti esistono solo pochi dati sulle risposte di pressione arteriosa in persone che per ragioni professionali sono esposte per periodi intermittenti di tempo all’alta quota, né si conoscono a fondo le conseguenze cardiovascolari di questa esposizione. Mancano anche dati sull’effetto dell’altitudine sulla funzione dell’orecchio interno in queste condizioni.

Il team di ricerca è formato dall’Università di Milano-Bicocca che partecipa con l’Unità di Medicina Cardiovascolare e con la Scuola di Specializzazione in Malattie Cardiovascolari, dirette entrambe da Gianfranco Parati, ordinario di malattie dell’apparato cardiovascolare del Dipartimento di Scienze della Salute, e con l’unità di medicina del lavoro, diretta da Marco D’Orso; dal Laboratorio di Ricerche Cardiologiche dell’Istituto Auxologico Italiano diretto sempre dal professor Parati e si avvale della collaborazione dell’ambulatorio di Medicina di Montagna dell’Azienda USL Valle D’Aosta, diretto dal dottor Guido Giardini e della consulenza del professor Piergiuseppe Agostoni dell’Università degli Studi di Milano/Centro Cardiologico Monzino, per la messa a punto dei test da sforzo cardiopolmonare.

«Alcune nostre ricerche svolte negli scorsi anni – spiega Gianfranco Parati – hanno dimostrato che l’esposizione, sia acuta che prolungata, alla carenza di ossigeno in alta quota induce un aumento di pressione arteriosa sia in volontari sani sia in soggetti affetti da ipertensione arteriosa. Tuttavia, ad oggi, sono pochi i lavori in letteratura che si siano occupati di studiare le modificazioni indotte dall’esposizione lavorativa all’alta quota a livello del sistema cardiovascolare, respiratorio e otovestibolare. Questa ricerca può avere implicazioni interessanti a livello della medicina del lavoro e potrebbe aiutare nella selezione del lavoratore per stabilire non solo il tipo di mansione (più o meno pesante a livello fisico o ad alto o basso rischio infortunistico) ma anche il livello di altitudine a cui è meglio non esporre un soggetto sulla base di caratteristiche cliniche. Ma sarà anche utile a comprendere meglio il ruolo della ridotta disponibilità di ossigeno nel determinare le complicanze di molte e gravi malattie sistemiche. Basti pensare ai pazienti con insufficienza cardiaca: nello scompenso cardiaco, spesso complicato da apnee centrali e ostruttive nel sonno, la ridotta concentrazione di ossigeno nel sangue peggiora la prognosi  e aumenta le complicanze».

HIGHCARE Alps-Mont Blanc si inserisce nel filone degli studi in alta quota afferenti ad HIGHCARE (HIGH altitude CArdiovascular REsearch, www.highcareprojects.eu), un progetto scientifico multidisciplinare che studia  i meccanismi di cambiamento e di adattamento del sistema cardiovascolare e respiratorio nei soggetti esposti all’ipossia ipobarica, ovvero a una ridotta disponibilità di ossigeno in alta quota. Le precedenti spedizioni si sono svolte anche sulle Alpi (Monte Rosa nel periodo 2004-2010), sulle Ande nel 2012 e sull’Himalaya nel 2008.

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