Ritmo cardiaco: resettabile con un pacemaker biologico

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Trasferendo con un vettore virale il gene TBX18, in un piccolo gruppo di cellule del miocardi, queste diventano capaci per un certo tempo di generare gli impulsi elettrici regolari tipici di una ristretta popolazione del tessuto seno-atriale del cuore.

La procedura potrebbe essere usata nelle situazioni di emergenza in cui non è possibile applicare un pacemaker elettronico.

Il trasferimento di un gene in alcune cellule cardiache attraverso una procedura poco invasiva permette di ripristinare, almeno per un certo tempo, il corretto ritmo cardiaco quando questo fa le bizze. pacemakerLa tecnica – messa a punto da un gruppo di ricercatori del Cedars-Sinai Heart Institute a Los Angeles che firmano un articolo su “Science Translational Medicine” – si candida a una futura applicazione su pazienti che soffrono di disturbi del ritmo cardiaco, ma devono rimuovere temporaneamente il pacemaker elettronico in seguito, per esempio, all’infezione dei cavi di collegamento del dispositivo. Un’ulteriore indicazione potrebbe essere il blocco cardiaco congenito del feto, una patologia in cui il cuore ha una frequenza di battito così bassa da comportare un elevato rischio di morte prima o subito dopo la nascita.

Il corretto ritmo di contrazione del cuore è assicurato da un piccolo gruppo di cellule molto particolari (dette autoritmiche o pacemaker) situato nella regione del cuore nota come nodo seno-atriale. Queste cellule sono in grado di generare a intervalli regolari un impulso elettrico che poi si propaga attraverso tutto il tessuto miocardico. Nelle persone che soffrono di anomalie del ritmo cardiaco, le cellule del nodo seno-atriale hanno perso questa capacità, che viene surrogata dall’impianto di un pacemaker elettronico.

Lavorando su colture cellulari, Eduardo Marbán, Eugenio Cingolani e colleghi avevano recentemente scoperto che riattivando in cellule cardiache miocardiche normali un gene solitamente attivo solo in quelle embrionali, il gene TBX18, esse si trasformavano in cellule autoritmiche. Nelle nuova ricerca, hanno così clonato delle copie di quel gene per poi inserirle in un adenovirus privato del suo contenuto infettante, che è servito da vettore del gene terapeutico. Dopo che il preparato è stato iniettato nel cuore di alcuni maiali sofferenti di un disturbo del ritmo cardiaco, le cellule infettate dal vettore hanno acquisito la capacità di generare impulsi elettrici regolari propria delle cellule autoritmiche.

Il pacemaker biologico TBX18 – scrivono gli autori – si è dimostrato superiore a un pacemaker elettronico nella sua capacità di supportare l’attoivotà fisica e rispondevano alla regolazione autonoma” ossia alla richiesta di accelerazione o rallentamento del ritmo in base allo sforzo in cui era impegnato l’animale”. Allo stato attuale, la tecnica adottata fa sì che le cellule infettate possano essere aggredite da sistema immunitario dell’ospite, e che l’effetto della terapia abbia il suo picco entro otto giorni per poi iniziare a scemare dopo due settimane, un tempo limitato ma sufficiente per porre rimedio a molte situazioni drammatiche.

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