Tumori al polmone, vittime soprattutto le donne, studio italiano sull’efficacia degli inibitori tirosino-chinasi

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Sono soprattutto donne, non hanno mai fumato e nonostante questo si trovano a combattere contro un tumore al polmone. E’ l’identikit dei pazienti con adenocarcinoma polmonare non a piccole cellule, contro cui sono particolarmente efficaci gli inibitori delle tirosino-chinasi.

Questi farmaci rappresentano la prima linea di trattamento nei casi in cui sia stata riscontrata la mutazione attivante del recettore per il fattore di crescita dell’epidermide (EGFR) e oggi un’ampia ricerca italiana ne conferma l’efficacia e la buona tollerabilita’ in un popolazione che comprende anche pazienti anziani. La malattia rimane sotto controllo per il 75% dei pazienti. Lo studio e’ stato presentato a Madrid, all’Esmo (congresso europeo oncologico) ed e’ stato coordinato dal servizio di Oncologia polmonare, dipartimento di Oncologia dell’Azienda Ospedaliero- Universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano Si tratta della prima indagine multicentrica condotta su pazienti non selezionati di 23 centri sparsi per tutto il Paese, che rispecchia percio’ fedelmente quello che accade nella gestione quotidiana di questa particolare popolazione di malati.

I risultati testimoniano innanzitutto che ovunque, in Italia, i medici adottano i protocolli indicati dalle linee guida internazionali per impostare la strategia terapeutica piu’ adatta a ciascun caso, sottoponendo ai test molecolari chi ha le caratteristiche per giovarsene maggiormente. I dati preliminari dello studio documentano che nel 75% dei pazienti la malattia rimane sotto controllo per oltre sei mesi, il 46% dei malati ottiene una risposta parziale e infine, abbandonati i timori per gli effetti collaterali grazie alla dimostrata buona tollerabilita’, gli inibitori delle tirosino-chinasi vengono sempre piu’ spesso impiegati con successo anche nei pazienti molto anziani.

“Con il nostro studio – spiega Tiziana Vavala’ oncologa del servizio di Oncologia Polmonare, Dipartimento di Oncologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino) e tra i medici coordinatori della ricerca – abbiamo cercato di capire come vengano gestiti i pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule nella realta’ della pratica clinica, andando a indagare per quali malati si richieda l’analisi del gene EGFR, quali farmaci siano impiegati piu’ comunemente in prima linea, quali siano i medicinali scelti se la malattia progredisce nonostante le cure. La forza dell’indagine sta soprattutto nel numero di centri coinvolti, ben 23 su tutto il territorio nazionale, e dall’ampiezza del campione, che ammonta a circa 300 pazienti. E’ emersa dunque una fotografia accurata della situazione nel nostro Paese: lo studio ha confermato che nella maggioranza dei casi i pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule con mutazione del gene EGFR sono donne e non fumatrici. Lo studio annovera tra gli obiettivi la valutazione dell’efficacia della terapia in termini di tasso di risposte, sopravvivenza libera da progressione, sopravvivenza globale e tollerabilita’; i risultati preliminari dimostrano che, nel caso di pazienti con tumore polmonare non a piccole cellule nei quali sia stata riscontrata la mutazione del gene EGFR, l’approccio di prima linea e’ rappresentato dagli inibitori delle tirosino-chinasi anche in pazienti di eta’ superiore agli 80 anni. Si tratta di un messaggio importante: fino a non molto tempo fa gli oncologi avevano a disposizione limitate risorse terapeutiche in pazienti anziani affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule, perche’ tali soggetti , a causa della ridotta funzione d’organo legata all’eta’ avanzata, rischiavano tossicita’ dai trattamenti chemioterapici di maggior impatto sulla vita quotidiana rispetto ai soggetti piu’ giovani. Oggi invece sappiamo che, quando e’ presente la mutazione del gene EGFR, gli inibitori delle tirosino-chinasi sono efficaci e ben tollerati anche nei soggetti anziani”. L’indagine si e’ quindi concentrata su pazienti con una malattia che progredisce nonostante le cure, per capire quali siano le scelte terapeutiche negli ospedali del Paese e valutarne gli esiti.

Nel 39% dei casi la seconda linea di terapia prevede l’utilizzo di trattamenti chemioterapici d’associazione con composti a base di platino, nel 18% dei pazienti la scelta verte sulla mono – chemioterapia, mentre in una piccola percentuale di casi viene utilizzato un ulteriore inibitore tirosinochinasico. “I dati preliminari di questo importante studio multicentrico – riferisce Vavala’ – dimostrano l’adeguata gestione dei malati con carcinoma polmonare non a piccole cellule con mutazione del gene EGFR nel nostro Paese, ma soprattutto che gli inibitori delle tirosino-chinasi sono farmaci molto efficaci e ben tollerati in un’elevata percentuale di pazienti, indipendentemente dall’eta’”.

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