Indirizzare la ricerca farmacologica dove maggiori sono le necessità dei pazienti
In un Convegno svoltosi oggi presso il Senato della Repubblica, ricercatori, clinici e mondo dell’industria farmaceutica si sono confrontati sull’importanza di un’azione sinergica, per sviluppare trattamenti adeguati in due importanti aree terapeutiche: le patologie del sistema nervoso centrale e le malattie rare in nefrologia.
Tag consigliati: SIF; farmacologia; ricerca farmacologica; schizofrenia; rene policistico; Francesco Rossi; Monica Di Luca; Mario Maj; John Kane; Antonio Santoro;
Roma, 14 ottobre 2014 – La collaborazione tra ricerca farmacologica e aziende farmaceutiche è un fattore chiave per lo sviluppo dell’innovazione scientifica e il ruolo delle società scientifiche nella ricerca dovrebbe essere quello di fornire indicazioni sulle aree terapeutiche dove i trattamenti sono ancora limitati, quindi indirizzare le attività di sviluppo dei farmaci là dove sono maggiori le necessità.
Questo in estrema sintesi il messaggio emerso dal Convegno tenutosi oggi a Roma dal titolo: “La ricerca farmacologica italiana e il contributo del Giappone allo sviluppo della salute in Italia”, promosso da SIF – Società Italiana di Farmacologia con il contributo non condizionato di Otsuka Italia.
“Due tra le aree che mostrano ampi spazi di miglioramento nell’individuazione di terapie adeguate sono quella del Sistema Nervoso Centrale e delle Malattie Rare – ha dichiarato il Professor Francesco Rossi, Presidente della SIF – L’area delle neuroscienze è sempre stata il ‘fiore all’occhiello’ della ricerca farmacologica italiana. Società Italiana di Farmacologia consegnerà un premio a quattro giovani ricercatori al di sotto dei 38 anni per attività di ricerca nell’ambito delle neuroscienze.”
“SIF – continua il Professor Rossi – è interessata a tutto il mondo del farmaco in un confronto continuo tra ricercatori, aziende farmaceutiche, clinici, società scientifiche ma anche Enti regolatori, Ministero della Salute, per far sì che da questa sinergia la ricerca possa eù
ssere rilanciata. Abbiamo necessità di nuovi farmaci che siano efficaci, ma anche sicuri per il paziente, riuscendo a creare un giusto equilibrio tra rischi e benefici. L’accettabilità della terapia, ad esempio, in ambito psichiatrico è molto importante e la ricerca deve guardare anche questi aspetti”.
E infatti, come si diceva, uno degli ambiti della ricerca presi in considerazione nel corso del Convegno, è quello delle neuroscienze.
“I disturbi del cervello sono la maggior emergenza di sanità pubblica in Europa, prima delle malattie cardiovascolari ed oncologiche, perché se è vero che causano meno decessi di queste ultime, sicuramente provocano disabilità di maggiore durata – afferma la Professoressa Monica Di Luca, Consigliere SIF e Presidente eletto della FENS – Federazione Europea di Neuroscienze – La ricerca nell’ambito del Sistema Nervoso Centrale deve diventare una priorità nell’agenda politica non soltanto italiana, ma anche europea: solo con un network scientifico di alta qualità si potrà disinnescare la ‘bomba sociale’ rappresentata da queste patologie, che riguardano circa 179 milioni di europei, con costi sanitari che ammontano a quasi 800 miliardi di euro l’anno. La scienza italiana è già in grado di produrre ricerche di primissimo livello – continua la Professoressa Di Luca – nonostante la cronica assenza di fondi. Capire i meccanismi del cervello è quindi un traguardo importantissimo, che deve vedere impegnati tutti: dalla comunità medico scientifica, alle istituzioni, alle aziende farmaceutiche.”
“Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, più del 25% delle persone sviluppa almeno un disturbo mentale nel corso della propria esistenza – afferma il Professor Mario Maj, Past President della World Psychiatric Association e Direttore del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Napoli SUN – e tre di questi (depressione, schizofrenia e disturbo bipolare) sono tra le 10 cause maggiori di disabilità nella popolazione generale compresa tra i 15 e i 44 anni. Rispetto ai disturbi dell’umore, la schizofrenia non è una patologia comune (per quanto si possa stimare che in Italia circa 245 mila persone siano o siano state affette da disturbi di tipo schizofrenico), ma è la più grave e invalidante per la disabilità che produce, per lo stigma ad essa associato e per l’impatto sulle famiglie dei pazienti e sui servizi assistenziali. Il riconoscimento ed il trattamento precoce della schizofrenia è oggi possibile. E’ un dato riconosciuto, infatti, che l’intervento tempestivo migliora la prognosi della malattia”.
A differenza di quanto radicato nell’opinione pubblica, infatti, le patologie psichiatriche non sono inguaribili ma possono essere curate con un’alta percentuale di successo.
“La psichiatria, nelle sue espressioni migliori, è molto cambiata negli ultimi decenni e sta continuamente cambiando. – aggiunge il Professor Maj – Questo cambiamento ha riguardato e sta riguardando il target della disciplina, la diagnosi, la ricerca, gli interventi e l’impostazione dell’assistenza, anche se questa evoluzione non si è verificata in modo omogeneo, per cui in diversi contesti esiste un divario tra i nuovi standard e la pratica corrente. Questo divario contribuisce a far sì che i cambiamenti della psichiatria non vengano percepiti da una parte dell’opinione pubblica e della professione medica.”
Nell’ultimo decennio sono stati sviluppati numerosi trattamenti efficaci con effetti collaterali meno frequenti e meno gravi rispetto ai farmaci tradizionali. Ma se, grazie ai nuovi rimedi il percorso terapeutico mira, oltre a ridurre o eliminare i sintomi, a migliorare la qualità di vita e il funzionamento sociale del paziente e a prevenire le ricadute attraverso la continuità dell’assistenza, ancora oggi uno dei principali problemi della cura della schizofrenia è la mancata aderenza alla terapia.
“Una delle maggiori sfide nel trattamento delle psicosi è la prevenzione delle recidive, che generalmente si associano a problemi del funzionamento sociale, sofferenza individuale e aumento del carico per le famiglie e dei costi sanitari – dichiara il Professor John Kane, Direttore Dipartimento Psichiatria Albert Einstein College of Medicine di New York – E la mancata aderenza alle terapie gioca un ruolo importante nell’incremento dei rischi di recidiva. Le industrie farmaceutiche – continua Kane – stanno compiendo grandi sforzi nello sviluppo di farmaci più efficaci, meglio tollerati e più maneggevoli, come le formulazioni a rilascio prolungato che prevedono una somministrazione mensile”.
Se, come abbiamo visto, le patologie afferenti il sistema nervoso centrale sono considerate una vera e propria emergenza sociale, esistono malattie che, data la loro bassa incidenza, sono definite “rare”, ma non per questo meno gravi e invalidanti. Questo porta come conseguenza il fatto che, nella maggior parte dei casi, siano poco considerate, poco studiate e, purtroppo, spesso mal curate.
“Nelle malattie rare, comprese quelle renali – afferma il Professor Antonio Santoro, Presidente SIN – Società Italiana di Nefrologia – non vi è solo carenza di diagnosi appropriate, ma anche di trattamenti specifici. La terapia è, infatti, spesso caratterizzata da una sorta di ‘nichilismo’ che in parte deriva dalla progressione inesorabile della malattia, in parte dalla mancanza di farmaci ad hoc. E’, poi, opportuno considerare che nelle malattie rare, proprio per il numero esiguo di pazienti, è importante aggregare le patologie, i pazienti e gli specialisti in centri specializzati, creando anche un network comune e registri per migliorare la conoscenza di una determinata patologia, permettendo una condivisione su problematiche comuni. Questo è, inoltre, essenziale per capire la patogenesi di genotipi rari, aggregare fenotipi diversi, condividere dati, progettare studi multicentrici, che permettano di definire biomarker specifici e schemi terapeutici appropriati. I registri possono, inoltre, servire per ottenere dati oggettivi di supporto a decisioni regolatorie o anche a fornire informazioni di post marketing in seguito all’utilizzo di farmaci specifici. ”
“E a questo proposito – aggiunge il Professor Santoro – è opportuno dare un segno di speranza. Perchè se è vero che per molte malattie nefrologiche rare non abbiamo farmaci efficaci, per alcune di esse ci sono già certezze come, per esempio, le terapie enzimatiche sostitutive nella malattia di Fabry. Infine, per un’altra affezione come il rene policistico sono in arrivo nuovi farmaci che, in studi multicentrici internazionali hanno mostrato una loro efficacia, sia in termini di progressione della malattia, che di sviluppo delle cisti. Allora, se arrivano farmaci efficaci, diventa urgente l’istituzione di Registri specifici che permettano, , di valutare efficacia, ma anche eventuali effetti collaterali e reazioni indesiderate, a seguito della somministrazione prolungata degli stessi farmaci”.