Lesioni midollari: come stanno progredendo i possibili trattamenti

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Lesioni midollari: come stanno progredendo i possibili trattamenti

I risultati delle ricerche presentati al meeting annuale della Society for Neuroscience

Ogni anno nel mondo oltre 250mila persone vanno incontro a lesioni del midollo spinale, con conseguente perdita della sensibilità e della funzionalità motoria. I danni midollari causano, a seconda del livello, paralisi delle gambe o addirittura di tutti e quattro gli arti, e possono arrivare a coinvolgere anche i muscoli respiratori, costringendo il paziente alla ventilazione artificiale.midollo_spinale
L’interruzione delle fibre nervose è considerata una condizione irreversibile, ma nuove ricerche presentate a Washington al meeting annuale della Society for Neuroscience, il più grande evento dedicato alle neuroscienze, suggeriscono che è possibile stimolare un ripristino spontaneo delle connessioni midollari, stimolare la crescita di nuovi neuroni e aggirare le connessioni interrotte tra neuroni e muscoli comandando direttamente con il cervello delle protesi per il supporto del movimento.

Recuperare la funzione respiratoria. Nel caso di danno midollare che coinvolga la muscolatura respiratoria, si ricorre alla ventilazione. I ricercatori hanno ottenuto risultati positivi utilizzando un enzima batterico, la condroitinasi, che agisce rompendo il tessuto cicatriziale, ostacolo alla riparazione del midollo spinale. Iniettandolo in un’area del midollo non lesa, ad un anno e mezzo dall’incidente, l’enzima rafforza le connessioni con il sistema motorio respiratorio» ha spiegato in conferenza stampa Philippa Warren della Case Western Reserve University a Cleveland. «Nello studio, condotto su modello murino, abbiamo visto che combinando a questo trattamento la riabilitazione muscolare, eseguita con esposizione ad aria a basso contenuto di ossigeno che scatena profondi e rapidi atti respiratori, si ottiene il ripristino della funzione respiratoria in due casi su tre».

Indurre la neurogenesi. «Nelle cavità delle lesioni, il trapianto di cellule neurali staminali progenitrici, sia nella fase sub acuta che cronica, rispettivamente a due o dodici settimane dalla lesione, ha dimostrato che esse proliferano, si sviluppano normalmente e generano nuovi neuroni che, estendendo i loro assoni (o neuriti) su lunghe distanze, superando l’ostacolo della lesione midollare» ha spiegato Ken Kadoya del Center for Neural Repair dell’Università della California a San Diego, che ha aggiunto che la ricerca è stata effettuata su modello murino ma sono già in corso i primi studi per capire quali risultati si possono ottenere con le staminali umane.

Muoversi con il pensiero. I progressi nel settore delle interfacce uomo-macchina sono stati mostrati al mondo in occasione del calcio di inizio dei campionati Brasile 2014, tirato da un ventinovenne paraplegico alla guida di un esoscheletro. Il responsabile del progetto era il brasiliano Miguel Nicolelis, neurobiologo e ingegnere biomedico della Duke University negli Stati Uniti.«All’inizio gli sforzi erano volti principalmente all’estrazione di informazioni relative all’attivazione cerebrale da tradurre in segnali digitali, capaci di far muovere dei robot. Oggi ci si preoccupa anche di un altro aspetto, quello del feedback sensoriale, in grado di restituire ai pazienti informazioni come se provenissero dal loro stesso corpo» ha spiegato Miguel Nicolelis.

Ad esempio, il soggetto paralizzato che indossa l’esoscheletro riceve una leggera pressione sulle braccia quando le proprie gambe stanno per toccare terra. «I nostri otto pazienti che finora hanno imparato a muovere l’esoscheletro riportano una chiara e vivida sensazione tattile, personale e verosimile, anche grazie alla fluidità dei movimenti del robot». Nicolelis ha spiegato che, oltre ad avere la possibilità di riacquisire il controllo volontario dei movimenti, pur mediati da una macchina controllata con la mente, i soggetti possono andare incontro ad un miglioramento neurologico ed un eventuale parziale recupero delle funzioni motorie, anche a mesi dall’incidente, grazie alla plasticità cerebrale.

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