Ictus: si sopravvive, ma serve la chirurgia

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A confronto con il professor Linfante del Dipartimento di Neurochirurgia Vascolare di Miami: “Per grosse ostruzioni i farmaci falliscono. L’intervento endovascolare è la soluzione”

«Una vera e propria rivoluzione». Non usa mezzi termini il professor Italo Linfante, neurochirurgo italiano -ennesimo talento che il nostro Paese non ha saputo trattenere- direttore del Dipartimento di Neurochirurgia Vascolare presso il Baptist Cardiac and Vascular Institute di Miami (Stati Uniti). Sopravvivere e non riportare danni in seguito a gravi ictus è oggi possibile. Come? Rimuovendo meccanicamente le ostruzioni a livello delle arterie cerebrali attraverso un approccio endovascolare. A testimoniarlo è uno studio appena pubblicato sulle pagine sul New England Journal of Medicine.

Arterie ostruite
«Con il termine ictus -spiega Linfante- ci riferiamo all’ostruzione a livello cerebrale delle arterie che garantiscono il corretto flusso di sangue. Quando ciò accade le aree a valle del blocco non possono essere sufficientemente irrorate e, con il passare del tempo, vanno in contro a morte cellulare. Intervenire il prima possibile è fondamentale per evitare sia danni permanenti sia, nel peggiore dei casi, la morte».

Dissolvere i trombi
Sino ad oggi l’approccio più utilizzato per rimuovere i trombi è stato quello farmacologico. Attraverso la somministrazione di alcune particolari molecole è infatti possibile disgregare l’ostruzione. «Questa terapia -continua l’esperto- ha cambiato la storia del trattamento degli ictus. Purtroppo però l’approccio farmacologico funziona solo quando i trombi sono di piccole dimensioni. Circa un terzo degli ictus avviene perché si ostruiscono i grandi vasi e in questi casi la chimica poco può fare».

Intervenire chirurgicamente
Cosa fare dunque per questi casi più gravi? La soluzione arriva dalla chirurgia endovascolare. Attraverso un catetere inserito nell’arteria femorale è possibile risalire sino al cervello e arrivare nella zona dove è presente l’ostruzione. «La tecnica -spiega Linfante-si chiama trombectomia e avviene per mezzo di un dispositivo chiamato stent-retriver. Questo metodo consiste nell’inserzione di una vera e propria rete a livello dell’arteria ostruita. Con essa il chirurgo ricanalizza il flusso di sangue e riapre il vaso. Successivamente, appena lo stent viene rimosso, automaticamente il dispositivo porta via con sé il coagulo di sangue responsabile dell’ictus».

Studio rivoluzionario
Da diversi anni nel centro del professor Linfante la tecnica viene eseguita con successo. Diversi trials clinici, gli ultimi presentati al recente congresso mondiale sugli ictus ad Istanbul e al BIS (Brain Ischemia and Stroke) di Roma, indicavano chiaramente la bontà del metodo. «Oggi, con lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, vengono mostrati in maniera incontrovertibile dei dati che indicano chiaramente un cambio dirotta radicale. Operando ogni settimana casi del genere mi ero accorto da tempo della superiorità dell’approccio endovascolare. Oggi abbiamo la certificazione ufficiale che intervenire il prima possibile in questo modo è la via migliore per salvare la persona colpita da ictus. Più passa il tempo e minori sono le chances di successo»spiega il professore.

Investimento sul futuro
L’intervento, a differenza di una semplice somministrazione farmacologica, deve però essere effettuato da mani esperte e da un team di medici che comprende chirurghi, anestesisti e radiologi. Ciò può avvenire solo in una «stroke unit» ben organizzata. La situazione nel nostro Paese non è delle più rosee: i centri mancano e sono mal dislocati sul territorio. Eppure, in ottica futura, interventi del genere gioverebbero anche alle casse dello Stato: «L’intervento con stent-retriver costa. I risultati sono ottimi e le complicazioni estremamente rare. Quando il paziente non viene trattato adeguatamente i costi associati ai danni permanenti subiti sono estremamente elevati. Ragionando a lungo termine investire su questo genere di interventi è la chiave per risparmiare e, al tempo stesso e cosa più importante, migliorare la qualità di vita dei pazienti colpiti da ictus» conclude Linfante.

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