Tumori alla prostata: mortalità in forte calo, grazie a cure ormonali e radioterapia
Lo rivela uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica americana Clinical Oncology e condotto su un campione di oltre 31 mila pazienti d’età compresa tra i 65 e gli 85 anni. La cura ‘doppiata’ non avrebbe tra l’altro effetti secondari
Tumore alla prostata, mortalità dimezzata con radioterapia abbinata a cure ormonali
Uno studio rivela gli effetti positivi delle terapie ormonali e della radioterapia nel caso di tumore alla prostata
WASHINGTON – Combinare la radioterapia alle cure ormonali ridurrebbe del 50% la mortalità fra gli uomini più anziani nei casi più gravi di tumore alla prostata. Lo rivela uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica americana Clinical Oncology. La ricerca ha analizzato un campione di 31.541 persone tra i 65 e gli 85 anni. Un primo gruppo di pazienti è stato curato con sedute di radioterapia e cure ormonali, mentre un secondo gruppo solo con terapie ormonali. Si tratta della prima analisi di questo tipo su uomini anziani e con un tumore avanzato alla prostata.
“Numerose ricerche hanno rivelato che il 40% di pazienti anziani con un cancro aggressivo sono curati esclusivamente con terapie ormonali – spiegano i ricercatori dell’Università della Pennsylvania – . Questa terapia riduce i livelli di testosterone e di altri ormoni maschili che alimentano il tumore alla prostata. Ma abbiamo voluto provare a studiare qualche cosa di nuovo, per trovare soluzioni più efficaci”.
I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi in base all’età. Quelli fra 76 e 85 anni sono stati in parte curati con la radioterapia e le terapie ormonali e sono riusciti a sopravvivere per 7 anni in più. In quest’ultimo gruppo c’è stato il 49% di decessi in meno rispetto a coloro che avevano ricevuto solo cure ormonali. Nel gruppo di uomini più giovani, tra i 65 e i 75 anni, curati con entrambe le terapie, si è invece registrato un 57% di decessi in meno rispetto ai coetanei che avevano ricevuto solo la cura a base di ormoni.
“Fra l’altro – conclude il dottor Justin Bekelman, coordinatore della ricerca e medico dell’Università della Pennsylvania – questa doppia terapia è ben tollerata ed efficace e non provoca molti effetti secondari”.