Depressione, per l’area più antica del cervello, l’amigdala, non è un segreto

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Depressione, per l’area più antica del cervello, l’amigdala, non è un segreto

La reazione allo stress e alla paura da parte della Amigdala, indica la vulnerabilità individuale alle difficoltà e la probabilità di futuri disturbi mentali.

Nei disturbi mentali è molto importante la tempestività degli interventi, che molto spesso hanno un’efficacia limitata. Ma la vulnerabilità alle malattie mentali varia molto da individuo ad individuo e le reazioni ad un identico evento traumatico, come un lutto o una separazione, sono molto diverse.

amigdala

La possibilità di identificare i soggetti più a rischio, quelli cioè con una maggior probabilità di sviluppare ansia, depressione e altri disordini mentali, fornirebbe uno strumento fondamentale per prevedere, e così prevenire, l’insorgenza di tali problemi.Uno studio appena pubblicato su Neuron mostra come il livello di attivazione dell’amigdala, la centralina della paura, possa essere considerata un marcatore biologico dell’ansia e venire utilizzato per predire lo sviluppo di disturbi mentali più in là negli anni.

Da tempo gli scienziati si concentrano su questo raggruppamento di neuroni evolutivamente molto antico, l’amigdala, per indagare la risposta dell’individuo a situazioni minacciose e difficili. Gli studi condotti sui soldati dell’esercito americano afflitti da disturbo post traumatico da stress dopo aver svolto servizio in teatri di guerra, ad esempio, ci hanno insegnato molto sulle “cicatrici” lasciate nel loro cervello dai combattimenti cui hanno partecipato. La loro amigdala mostra una risposta abnorme, ma non è possibile dire se essa fosse antecedente alla comparsa di disturbi mentali o se sia causata dallo sviluppo della malattia.

I ricercatori del laboratorio di neurogenetica del dipartimento di psicologia e neuroscienze della Duke University si sono quindi concentrati sulla popolazione studentesca universitaria, senza alcuna patologia mentale, ma comunque in un’età critica per il manifestarsi di patologie come depressione, attacchi di panico, disturbi d’ansia generalizzati e disturbi post traumatici da stress.Dopo aver reclutato 753 studenti di età compresa tra i 18 e i 22 anni e averne misurato con una risonanza magnetica la reazione dell’amigdala di fronte a fotografie di individui arrabbiati o spaventati, i ricercatori hanno somministrato loro dei test di personalità e dei questionari relativi agli eventi stressanti della loro vita e ai sintomi comprovati di depressione e ansia. Ogni tre mesi, hanno quindi ricontattato i volontari per la raccolta di ulteriori informazioni relative agli eventuali eventi stressanti che nel frattempo avevano vissuto, come la morte di un amico, un incidente d’auto, la perdita del lavoro, e la loro reazione ad essi.

Ebbene, confrontando i dati raccolti nei diversi momenti, i ricercatori si sono trovati di fronte a qualcosa di «significativo e di nuovo»: quanto più pronunciata era stata l’attivazione dell’amigdala di fronte ai volti arrabbiati o impauriti visti in risonanza nel primo esperimento, tanto più severi erano i sintomi di ansia o di depressione riportati dai soggetti in risposta agli eventi difficili che avevano vissuto. In altre parole, certi modelli di attivazione dell’amigdala predicevano lo sviluppo di depressione fino a quattro anni prima che esse si manifestassero realmente.

«L’obiettivo finale è quello di riuscire ad identificare nella popolazione i gruppi più a rischio per evitare che certi problemi cronicizzino e sfocino nella malattia» ha affermato il professor Ahmad Hariri del laboratorio di neurogenetica del Dipartimento di Psicologia e neuroscienze della Duke University, secondo il quale, oltre ad essere un fattore predittivo del rischio di uno sviluppo patologico di disturbi emotivi, «i modelli di attivazione dell’amigdala rappresentano anche un target per interventi di prevenzione».

Naturalmente, l’amigdala è solo una componente, per quanto critica, di una rete neurale più estesa che regola e controlla la risposta emotiva allo stress. La prospettiva più ampia, in cui si pone anche questo studio, è quella della possibilità di dedicare maggiori e più tempestive risorse ai soggetti più a rischio di problemi mentali. Del resto, gli sforzi tesi all’individuazione di un indicatore preciso della vulnerabilità individuale verso la patologia mentale sono congiunti e prendono in considerazione anche altri aspetti, oltre a quelli neurofisiologici, come i dati genetici, i fattori ambientali e gli aspetti più strettamente legati alla manifestazione clinica delle malattie psichiatriche.

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