Il cervello e la diversa comunicazione con due alfabeti
Una perfetta mescolanza di frequenza e scansione temporale degli impulsi elettrici costituisce “l’alfabeto” usato dai ciruiti cerebrali per scambiarsi le informazioni.
La scoperta è di ricercatori della Scuola internazionale superiore di studi avanzati (SISSA) di Trieste e delI’Istituto italiano di tecnologia (IIT) a Rovereto, che firmano un articolo su “Current Biology”.
La risposta di un neurone a uno stimolo sensoriale è una scarica elettrica composta da sequenze di impulsi. Finora si riteneva che l’informazione trasmessa da un neurone all’altro fosse codificata dal numero totale dei picchi d’intensità (frequenza) nelle sequenze: a un certo numero di picchi corrisponde una certa “lettera dell’alfabeto” che i neuroni usano per comunicare fra loro.
Dall’esame dei risultati di una serie di esperimenti sui ratti, Stefano Panzeri, Mathew E. Diamond e colleghi hanno ora scoperto che a questo sistema di codifica se ne sovrappone un altro. I neuroni comunicano, cioè, usando anche un secondo “alfabeto”, le cui lettere sono rappresentate da variazioni nella distribuzione temporale con cui si susseguono i picchi all’interno di ciascuna sequenza di impulsi.
Non solo: il “peso” di questa codifica basata sulla temporizzazione dei picchi è spesso superiore a quello della codifica a frequenza, dato che la distribuzione temporale degli impulsi varia nell’arco di pochi millisecondi e può trasportare un numero maggiore di “bit di informazione” rispetto alla codifica basata sulla frequenza, che varia su un arco di tempo più lungo, nell’ordine delle decine di millisecondi.
Di fatto, osservano gli autori, l’esistenza di due sistemi di codifica crea canali multipli sulla stessa linea di trasmissione. “Se prendiamo per esempio la sensazione tattile, il cervello utilizza questi canali multipli per comunicare aspetti dello stimolo – intensità del tocco, grana della superficie, forma dell’oggetto e via dicendo – che non potrebbero essere comunicati con un singolo mezzo di informazione” ha detto Panzeri.
“Grazie a questa scoperta – ha concluso Panzeri – sappiamo meglio come imitare il linguaggio del cervello, e quindi riprodurlo. Possiamo, quindi, pensare di sviluppare protesi robotiche, come arti per amputati, in grado di comunicare con il cervello in modo bidirezionale e complesso, così da permettere non solo un ripristino delle capacità motorie, ma anche dei sensi, come per esempio il tatto”.