Spesa farmaceutica: non c’è equilibrio senza un ruolo crescente di equivalenti e biosimilari

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assogenerici-scritta-sotto-logoRoma, 8 gennaio 2016 – “Nella comunicazione dell’AIFA pubblicata sul Journal of Generic Medicines è detto in modo chiarissimo quanto l’equilibrio della spesa farmaceutica, e di conseguenza di quella sanitaria, dipendano in larga misura dalla capacità di sfruttare la leva offerta dalla presenza dei medicinali equivalenti e, più recentemente, dei biosimilari” dice il presidente di AssoGenerici, Enrique Häusermann.

Nel contributo apparso sull’ultimo numero della rivista si mostra infatti che i medicinali a brevetto scaduto rappresentano il 46,6 % della spesa del SSN per ciascun cittadino, ma a questa quota corrisponde poco meno del 70% di tutti i medicinali rimborsati  assunti dai pazienti italiani (DDD/1000 abitanti die). “La tendenza all’aumento di questa quota, che è cresciuta di quasi il 5% tra il 2013 e il 2014, è uno dei fattori del sostanziale controllo che si registra nella spesa territoriale, ribadito anche dai dati sui consumi nei primi otto mesi del 2015.

Resta il fatto che mentre i farmaci branded a brevetto scaduto rappresentano 30,4% della spesa SSN, gli equivalenti puri sono al 16,3% della spesa pubblica, un dato migliore soltanto di quello esibito da Irlanda e Grecia e lontano dal quello registrato in Francia, Germania e Regno Unito – prosegue Häusermann – eppure è alla presenza del generico che si deve la sostanziale discesa dei prezzi”. Inediti i dati presentati a proposito dei biosimilari: secondo l’analisi dell’AIFA, nel 2014 l’aumento del ricorso ai biosimilari ha determinato la diminuzione del costo pro capite del trattamento con ormone della crescita e epoetina alfa rispettivamente dell’11% e del 3%.

Non solo: nel caso dell’epoetina alfa è stato dimostrato che un aumento dell’1% nel rapporto tra pazienti native trattati con biosimilari e numero totale dei pazienti che cominciano il trattamento con questo farmaco, determina una riduzione della spesa complessiva pari allo 0,09%, vale a dire oltre 145.000 euro. Negli ultimi tre anni, il solo impiego nei pazienti naïve del biosimilare ha reso possibile un risparmio di otto milioni di euro. “Oggi che misuriamo concretamente l’impatto dell’innovazione sulla spesa farmaceutica ospedaliera, con gli antivirali per il trattamento dell’epatite C cronica, mi sembra evidente che i biosimilari possano non soltanto contenere l’esborso pubblico, ma direttamente consentire l’impiego delle terapie di ultima generazione liberando le risorse necessarie.

Ma è evidente, come ha affermato l’AIFA, che questo richiede innanzitutto un’opera di acculturazione generale, ormai indilazionabile, visto l’arrivo imminente di altri e costosi trattamenti per condizioni molto diffuse, a cominciare dell’ipercolesterolemia. Ci auguriamo che gli importanti messaggi che l’AIFA ha rivolto alla comunità scientifica e al decisore sanitario vengano tenuti nella giusta considerazione” conclude il presidente di AssoGenerici.

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