Chirurgia minivasiva: una “filosofia” oltre che una pratica clinica

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A Roma, nell’ambito del Congresso congiunto di 27 Società scientifiche di chirurgia italiane, un workshop per fare il punto sulla situazione attuale riguardo l’utilizzo della chirurgia mininvasiva in Italia e sulle prospettive per il futuro

Roma, 26 settembre 2016 – L’innovazione tecnologica in chirurgia è diventata un elemento imprescindibile per garantire ai cittadini standard elevati di trattamento con un risparmio sul lungo periodo in termini di gestione della malattia. Un elemento, questo, di primaria importanza per la qualità stessa dei Sistemi Sanitari.Medtronic

Nuovi dispositivi e procedure chirurgiche evolute hanno portato benefici rilevanti per i pazienti, consentendo trattamenti più efficaci e di maggiore qualità. A discapito di ciò, però, i dati mostrano che in Italia l’adozione della chirurgia mininvasiva si attesta intorno al 29 per cento, rispetto al dato medio europeo del 32.

Su questo tema si sono confrontati oggi alcuni dei principali esperti in chirurgia mininvasiva in occasione del workshop “Ottimizzazione dei percorsi clinico-organizzativi per la chirurgia mininvasiva” organizzato nell’ambito del Congresso congiunto di 27 Società scientifiche di chirurgia Italiane, in corso fino al 29 settembre a Roma.

«La chirurgia laparoscopica, la più diffusa tra le tecniche mininvasive, ha più di venticinque anni di vita; ha raggiunto la piena maturità – ha spiegato Francesco Corcione, Presidente Nazionale della Società Italiana di Chirurgia (SIC) -. Non si tratta di un’alternativa alla chirurgia in aperto ma, a tutti gli effetti, del “gold standard” per la maggior parte degli interventi chirurgici addominali. Questo, grazie all’efficacia e alla precisione dimostrata sia negli studi realizzati finora sia nell’esperienza degli operatori sul campo. È importante, però, investire nella formazione dei medici, l’unica strada per far sì che i giovani chirurghi acquisiscano gli elementi indispensabili per lavorare bene. La chirurgia laparoscopica è a tutti gli effetti una filosofia prima ancora di essere una pratica chirurgica».

La garanzia di accesso dei cittadini alle migliori cure disponibili rappresenta una sfida in cui l’elemento determinante è la sostenibilità della spesa per il Sistema Sanitario e per il Paese. L’approccio mininvasivo meriterebbe un maggior approfondimento non solo per i vantaggi che offre ai pazienti, ma anche per le proprie potenzialità in termini di efficienza, con conseguente ottimizzazione delle risorse. Per far ciò, è necessario che tutti i soggetti coinvolti nei processi decisionali siano messi nelle condizioni di valutare i benefici e stabilire il rapporto costo-efficacia.

«In Italia, esiste ancora una grande differenza tra i “desiderata” e la realtà. La tecnologia continua la sua inarrestabile evoluzione, mentre le strutture ospedaliere non sempre sono in grado di aggiornarsi per mancanza di investimenti da parte del Sistema – ha affermato ancora Corcione -. La chirurgia laparoscopica rappresenta sì un costo in termini di tecnologie, ma porta a un risparmio sul lungo periodo: innanzitutto riduce le tempistiche delle degenze e dei posti letto occupati; inoltre, abbrevia l’atto chirurgico in sé e, grazie alla riduzione delle infezioni ospedaliere, in particolare della parete addominale, riduce l’impiego dei farmaci. Lavorando ad addome chiuso, le infezioni scompaiono quasi del tutto e c’è una riduzione delle emorragie e delle complicanze addominali come gli ematomi».

Proprio sulla questione dell’efficienza della spesa sanitaria, mantenendo standard elevati di trattamento, si basa il programma di riabilitazione multidisciplinare ERAS (Enhanced Recovery After Surgery) volto a ridurre lo stress operatorio accelerando la ripresa dei pazienti sottoposti a interventi chirurgici importanti.

«Il programma è costituito da tre livelli, pre, intra e post operatorio, ciascuno dei quali avvalorato da elevati livelli di evidenza scientifica – ha spiegato il dottor Felice Borghi, Direttore del Dipartimento Chirurgico e S.C. di Chirurgia Generale e Oncologia dell’ospedale di S. Croce e Carle (CN) -. Oltre a privilegiare le tecniche chirurgiche mininvasive, per accorciare sensibilmente la degenza post-operatoria, è necessario che il medico eviti i digiuni prolungati, i sondini nasogastrici e i drenaggi addominali, e che promuova una rapida ripresa dell’alimentazione e della mobilizzazione, ottimizzando così il controllo del dolore. Un programma nato nel campo della chirurgia colorettale alla fine degli anni Novanta che si sta espandendo oggi, seppur lentamente, a tutta la chirurgia addominale: epato-biliopancreatica, esofago gastrica e bariatrica. Numerose ricerche hanno dimostrato che l’implementazione di un percorso ERAS, rispetto a una gestione tradizionale, determina una riduzione della degenza post operatoria, della morbilità e, conseguentemente, dei costi».

Intervenire per via laparoscopica, già di per sé, è sinonimo di riduzione dei ricoveri e delle spese mediche e sociali di gestione del paziente. «La degenza delle persone operate in laparoscopia si è sensibilmente accorciata; per esempio, dopo una colecistectomia si può tornare a casa già il giorno dopo, mentre in seguito a una resezione colica, dopo quattro o sei giorni. Tendenzialmente, una volta lasciato l’ospedale, si può riprendere l’attività lavorativa dopo dieci o quindici giorni. Con la chirurgia in aperto, invece, parliamo di tempi molto più lunghi – ha concluso Corcione –. Purtroppo, molte delle strutture ospedaliere italiane non sono state adeguate alle esigenze dei chirurghi. Queste nuove tecniche permetterebbero di fare un intervento ogni cinque giorni, ma non è possibile se non si dispone di una quantità di sale operatorie adeguata. A questo si aggiunge un problema organizzativo. Spesso, la possibilità di operare più persone ci sarebbe, ma in molti ospedali si prevede che gli interventi vengano svolti solo due giorni a settimana. Le conseguenze sono molti posti letto liberi e lunghe liste d’attesa».

Bisogna capire, quindi, se la “chirurgia” e il Sistema Sanitario italiano sono ancora “sostenibili”, in considerazione del fatto che non si può fermare il progresso scientifico, né impedire l’imporsi di standard più elevati in termini di qualità di vita.

«La situazione delle sale operatorie italiane è buona, anche se stiamo ancora sfruttando l’onda lunga degli investimenti fatti negli ultimi dieci/quindici anni – ha affermato il dottor Diego Piazza, Presidente Nazionale dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI) -. Quando si parla di percorsi di efficienza clinico-economica si intende, per esempio, il progetto sviluppato nel Regno Unito, dove il Governo ha deciso di finanziare la diffusione della chirurgia laparoscopica e dell’innovazione in chirurgia in prima persona. Inoltre, in linea con questa visione, la soluzione per garantire ospedali all’avanguardia e costantemente aggiornati dal punto di vista tecnologico, sarebbe ridurre le strutture presenti sul territorio. L’Italia, a pari numero di abitanti, ha tre volte gli ospedali del Regno Unito. Le strutture più piccole dovrebbero restare esclusivamente come presidi sanitari territoriali».

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