Fegato, una nuova cura contro le malattie autoimmuni

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Uno studio clinico internazionale dimostra l’efficacia di un nuovo farmaco nato in Italia contro la colangite biliare primitiva (CBP), una malattia autoimmune del fegato che colpisce soprattutto le donne, una su mille, over 40.Logo_Universita_Milano-Bicocca Lo studio, pubblicato sul The New England Journal of Medicine, vede come coautore il Professor Pietro Invernizzi, gastroenterologo dell’Università di Milano-Bicocca, tra i responsabili della sperimentazione del farmaco in Italia. 

Milano, 14 settembre 2016 – La colangite biliare primitiva (CBP), malattia autoimmune del fegato, ha una nuova cura. È l’acido obeticolico (OCALIVA), un nuovo farmaco sintetizzato nei laboratori di ricerca dell’Università di Perugia che arriva a 20 anni di distanza dall’introduzione di un precedente farmaco con diverso principio attivo. 

A dimostrarne l’efficacia, in particolare in quei pazienti che non rispondono in modo significativo alle attuali terapie, è lo studio clinico “A Placebo-Controlled Trial of Obeticholic Acid in Primary Biliary Cholangitis” (DOI 10.1056/NEJMoa1509840), pubblicato sul The New England Journal of Medicine e che vede come coautore Pietro Invernizzi, Professore Associato di Gastroenterologia presso l’Università di Milano-Bicocca e Direttore del Programma per le Malattie Autoimmuni del Fegato all’interno dell’International Center for Digestive Health e dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza diretti dal Professor Mario Strazzabosco. Grazie a questo studio, il farmaco è stato recentemente approvato dall’agenzia americana “Food and Drug Administration” (FDA).

La colangite biliare primitiva, fino ad un anno fa chiamata cirrosi biliare primaria, colpisce all’incirca 400 persone su un milione, in maggioranza donne oltre i 40 anni di età, aggredendo le vie biliari, provocando infiammazione cronica e il ristagno della bile nel fegato. Nel 30-40 per cento dei casi può progredire e portare scompenso epatico e cirrosi fino, nei casi più gravi, al trapianto di fegato.

Lo studio clinico ha dimostrato la sicurezza e l’efficacia della nuova terapia attraverso un trial che ha coinvolto 217 partecipanti; dopo dodici mesi si è verificata una riduzione dei livelli di fosfatasi alcalina (FA) maggiore tra i partecipanti trattati con il farmaco rispetto a quelli trattati con placebo (47% dei pazienti trattati rispetto al 10% nei non trattati). La riduzione di FA è la “spia” dell’effettivo funzionamento del farmaco, risultato che ha permesso l’approvazione della terapia da parte della FDA. L’introduzione in commercio di OCALIVA è prevista entro il 2017. 

La ricerca che ha portato a realizzare il nuovo farmaco è una storia in gran parte italiana, che parte dalla sintesi della molecola avvenuta a Perugia fino alla costituzione dell’azienda italo-americana Intercept, creata appositamente per lo sviluppo clinico e la commercializzazione del farmaco, con un importante supporto finanziario di uno sponsor italiano.

«La forza di questo nuovo farmaco – commenta Pietro Invernizzi – sta nel fatto che, agendo a livello immunologico e metabolico, è in grado di prevenire il formarsi di fibrosi epatica, ma soprattutto migliora il flusso biliare dal fegato, prevenendone l’accumulo e il ristagno all’interno dell’organo. Nei prossimi anni presso la Gastroenterologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza saremo impegnati, come equipe di epatologi dell’Università di Milano-Bicocca, nella seconda fase di questa sperimentazione durante la quale i partecipanti continueranno ad assumere la terapia. Il centro del San Gerardo è uno dei pochi centri italiani dedicato alle malattie autoimmuni del fegato e si appresta a breve a far parte di un network europeo specifico per queste patologie rare».

 «Il Center for Digestive Health di Milano-Bicocca – conclude il Prof. Strazzabosco – è uno dei laboratori leader nel mondo nello studio dei meccanismi che stanno alla base delle malattie dell’epitelio biliare, nonché uno dei pochi centri in grado di eccellere sia nella ricerca clinica che in quella traslazionale. Questa nuova cura per i pazienti con CBP ci fa sperare nell’arrivo in clinica di ulteriori farmaci in grado di contrastare tale malattia alla base».

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