Lotte ai tumori: la nuova onda delle false promesse
(di Umberto Veronesi) Da Stamina al metodo Hamer, l’illusione di cure miracolose può portare alla morte, come dimostrano i casi recenti di Eleonora e Alessandra. Il rifiuto della terapia è spesso dettato dalla paura dei suoi effetti collaterali. Ecco quello che i medici possono fare per superarla.
IL CANCRO non è più una malattia incurabile e le moderne terapie possono salvare la vita salvaguardando anche l’identità psico-fisica della persona. A quanti sacrifici di esistenze stroncate per seguire l’illusione di miracolose cure – cosiddette alternative – dobbiamo ancora assistere per diffondere la coscienza di questa realtà? I due recenti casi delle donne morte per tumore perché hanno rifiutato di aderire alla chemioterapia che poteva salvarle sono una ferita aperta per tutti noi oncologi. Ma anche un grido d’allarme.
Non solo per l’ampia comunità dei pazienti e le loro famiglie, ma anche per la società nel suo insieme. Nel nostro Paese purtroppo la fuga verso le false promesse di chi disconosce la medicina e proclama di aver trovato la vera cura contro il cancro o un’altra malattia grave, non sono una novità. Solo da pochi mesi si è conclusa la vicenda di Stamina, il laboratorio che promettendo cure risolutive per malattie neurologiche gravissime che spesso colpiscono i bambini, aveva spinto madri disperate ad abbandonare per i figli le terapie scientificamente testate e applicate in tutto il mondo. Non solo. Il responsabile del laboratorio è riuscito nell’impresa di creare un gruppo di sostenitori che accusavano medici e istituzioni di boicottare un “santo guaritore” per puro interesse economico, creando smarrimento profondo nelle famiglie che avevano in casa un bambino con la stessa malattia. Quelle di Eleonora, morta pochi giorni fa di leucemia a 18 anni e Alessandra, mancata a 34 anni per tumore del seno, sono storie che seguono la stessa tragica dinamica che induce una persona in un momento di fragilità estrema (Eleonora quando si è ammalata era anche minorenne, e il suo dramma si è automaticamente riversato sui genitori) a seguire qualsiasi imbonitore che sappia dare una speranza in più.
Tuttavia in questi casi c’è un fattore diverso rispetto a Stamina o altri casi analoghi di terapie -miracolo: qui il rifiuto della cura è stato basato sulla paura dei suoi effetti collaterali. E allora qui possiamo fare di più. Bisogna liberare la chemioterapia dallo stigma di cura devastante, che fa paura più del cancro stesso. Bisogna anche affrancarla dalla sua associazione alla terapia per moribondi, che si somministra quando non c’è più niente da fare.
Va detto che in passato è stata utilizzata in modo improprio e per molti anni è stata effettivamente prescritta a dosi altissime, senza alcuna considerazione per gli effetti che avrebbero avuto sul malato. Allora vigeva in oncologia il principio del massimo trattamento tollerabile: si applicava in chirurgia, in radioterapia e in chemioterapia la dose (o l’amputazione) maggiore che il paziente potesse tollerare. Inoltre la chemio veniva effettivamente effettuata anche per pazienti in stadio avanzato, che avevano pochissime o nessuna chance di beneficiarne.
Ma negli ultimi decenni è avvenuta una rivoluzione di pensiero per cui nella cura dei tumori si applica il principio del minimo trattamento efficace: si ricerca la dose più bassa o l’intervento più limitato in grado di assicurare l’efficacia oncologica. Così è sparita la chirurgia mutilante, la radioterapia ustionante e anche la chemioterapia che devasta inutilmente l’organismo. Certo, i farmaci chemioterapici rimangono una terapia pesante e impegnativa per la persona ed è inutile negarlo. Ma gli sforzi enormi per ridurne gli effetti collaterali stanno sortendo risultati significativi.
Oggi, anche grazie alla genomica, la chemioterapia è mirata e sempre più basata sulla risposta al trattamento di ogni paziente. Inoltre, guidati dal nuovo faro dell’attenzione alla persona nella sua globalità, gli oncologi stano imparando anche a controllare il lato estetico. Per esempio all’Istituto europeo di oncologia è in sperimentazione un caschetto che, indossato durante l’assunzione della chemio, riduce o azzera la perdita di capelli.
Certo molto ancora resta da fare e non solo sul fronte della ricerca medica che ci può mettere a disposizione nuovi strumenti, ma anche e soprattutto su quello del rapporto medico-paziente. I vari guaritori hanno successo con i malati e le loro famiglie perché dedicano molto tempo al dialogo. Senza perdere la sua scientificità anche la medicina deve recuperare la sua capacità di prendersi cura della persona nella sua unità inscindibile di mente e corpo, come faceva la medicina olistica dell’antichità.
Il miglior antidoto contro i ciarlatani è un rapporto di fiducia fra medico e paziente. Non auspico con questo un ritorno alla medicina paternalistica, in cui il medico-padre, arroccato nel suo sapere, prendeva arbitrariamente le decisioni per il malato. Al contrario ribadisco che queste dolorose vicende che ci amareggiano e ci sconvolgono, non devono far vacillare il principio costituzionale che regge la medicina moderna: la libertà di cura. Che significa anche libertà di rifiutare la cura.