I batteri della polmonite hanno nella forma il segreto della loro resistenza

pneumococco

L’espressione «conoscere il proprio nemico» è particolarmente appropriata quando si tratta di sviluppare nuovi antibiotici. La conoscenza profonda del ciclo di vita dei microbi resistenti ai farmaci è essenziale.
Nonostante siano stati compiuti sforzi enormi per controllare il batterio Streptococcus pneumoniae, questo patogeno opportunista costituisce una grave minaccia per la salute umana: ogni anno causa la morte di oltre 800 000 bambini e si prevede che altri 14 milioni soccomberanno a gravi malattie a seguito della sua infezione. Il progetto GetToKnowPneumo ha ricevuto un finanziamento nell’ambito del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie per scoprire nuove informazioni sulla biologia cellulare del patogeno umano Streptococcus pneumoniae. Liselot Dewachter, borsista dell’Università di Losanna, in Svizzera, illustra gli obiettivi del progetto: «Oltre a ottenere dati sul ciclo cellulare, la nostra speranza era poter convertire i risultati in applicazioni pratiche che possano essere utilizzate in ambito clinico.»

La forma è importante

Il team ha ottenuto alcuni risultati interessanti che riguardano la biologia cellulare del batterio. Dewachter spiega: «Questo batterio di solito ha una forma ovale che assomiglia a una palla da rugby, come nella foto qui sopra. Tuttavia, abbiamo scoperto che può assumere la forma di un bastoncino molto lungo quando alcune proteine sono esaurite.» Questo allungamento avviene perché i batteri continuano a crescere ma non si dividono più per generare progenie, il che dimostra il ruolo di queste proteine nella divisione cellulare. «Abbiamo quindi aggiunto nuovi pezzi al rompicapo che mostra in che modo, e in risposta a quali stimoli molecolari, lo S. pneumoniae si divide per riprodursi e formare nuovi batteri.»

Nuove terapie antibatteriche: la sinergia della combinazione

Lo sviluppo di nuovi antibiotici per i batteri non resistenti può richiedere diversi decenni. La necessità di agire è sempre più impellente per far fronte alla ben nota e importante sfida rappresentata dalla resistenza antimicrobica. Per velocizzare il processo, i ricercatori hanno combinato razionalmente farmaci esistenti e approvati dalla FDA nell’intento di aumentare l’attività antimicrobica di alcuni degli antibiotici più importanti. La combinazione di farmaci che agiscono sullo stesso processo crea sinergia, nel senso che l’effetto della combinazione di composti è più forte della somma degli stessi presi singolarmente. In questo modo, l’effetto dell’antibiotico è più forte. Per identificare inizialmente i geni coinvolti negli stessi processi, il team ha eseguito la cosiddetta interferenza CRISPR. «L’interferenza CRISPR è una versione modificata di CRISPR in cui il DNA non viene tagliato, ma viene inibita l’espressione dei geni bersaglio del sistema di interferenza CRISPR», spiega Dewachter. I ricercatori hanno usato tecniche di citometria a flusso in fluorescenza per selezionare singole cellule che mostrano le caratteristiche di interesse, ossia i fenotipi stimolati dallo stesso trattamento con antibiotici. Per le cellule selezionate, il team del progetto ha identificato quali geni contribuiscono ai fenotipi individuati. L’approccio ha reso i batteri resistenti allo S. pneumoniae nuovamente sensibili a concentrazioni clinicamente rilevanti di antibiotici in laboratorio. Se i risultati si dovessero confermare validi per le infezioni umane, questo approccio potrebbe essere utilizzato per combattere efficacemente la resistenza ed estendere la durata dell’applicazione clinica del nostro attuale arsenale antibiotico.

Il lavoro prosegue

Al momento è in preparazione un manoscritto che sarà concluso nei prossimi mesi. I risultati del progetto sono stati presentati, prima della pandemia di COVID, alla conferenza «Bacterial Morphogenesis, Survival and Virulence: Regulation in 4D», che si è tenuta nel 2019 in Sudafrica. «Anche se il finanziamento del progetto è terminato, stiamo continuando a seguire questa linea di ricerca fino alla fine», osserva Dewachter. Attualmente, alcuni collaboratori stanno eseguendo test in vivo per verificare il potenziale clinico di questa nuova strategia di trattamento. «Inoltre, stiamo valutando la possibilità di richiedere un brevetto, nella speranza di passare alle applicazioni cliniche.»