Variante Omicron, il nuovo identikit scritto nei geni
E’ scritto nei geni, il nuovo identikit della variante Omicron del virus SarsCoV2.
Nuovi dati spiegano la sua grande capacità di trasmettersi, che ovunque sta facendo impennare la curva dell’epidemia di Covid-19 e nello stesso tempo indicano che non è in grado di provocare una malattia grave. Un altro elemento è che le sue mutazioni non sono presenti solo nella proteina Spike (S) con la quale il virus cattura le cellule umane, ma nel suo cuore molecolare, ossia nel nucleocapside che contiene il materiale genetico del virus. Per tutte queste caratteristiche, “la variante Omicron potrebbe essere un virus del tutto nuovo rispetto alle altre versioni del SarsCoV2 che abbiamo conosciuto finora”, osserva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca.
“Dei tanti studi sulla variante Omicron pubblicati finora, i due più solidi osserva – dimostrano che le mutazioni presenti sulla proteina S favoriscono la trasmissibilità grazie al legame più forte della proteina al recettore Ace delle cellule, ma che di fatto questa maggiore capacità di trasmettersi viene bilanciata da una ridotta infezione”. L’esperto si riferisce alle ricerche, entrambe in attesa di revisione della comunità scientifica, condotte dal consorzio giapponese Genotype to Phenotype (G2P-Japan) e dall’Università di Cambridge.
“Entrambi gli studi indicano che una maggiore trasmissibilità non significa necessariamente una maggiore infezione: nel caso della Omicron questo significa che fra la sua proteina Spike e il recettore Ace delle cellule c’è un’attrazione forte come quella di una calamita, ma poi – prosegue – il recettore della cellula che dovrebbe favorire il processo di fusione ha una scarsa efficienza”. In sostanza, prosegue, “il virus cerca di entrare nella cellula come se aprisse una porta: inserisce la chiave, la gira e spinge la porta. Con la variante Omicron ci troviamo di fronte a un virus bravissimo a inserire la chiave, ma riesce a girarla solo qualche volta”. In altri casi, come per la Delta, l’apertura della prima volta apre in modo automatico quella delle cellule vicine, come in un domino, e il virus le invade una dopo l’altra con il PacMan celebre videogioco, “ma Omicron non è PacMan”, dice Broccolo. Vale a dire che “a differenza della Delta, la Omicron non è sinciziogena, ossia una cellula infatti non si fonde con quelle adiacenti sane,”, osserva il virologo. Di una minore virulenza ha parlato anche il ministro della Sanità britannico, Sajid Javid, per il quale dopo la terza dose di vaccino i rischi di ricovero sono inferiori del 90% rispetto alla variante Delta.
Per Broccolo è molto probabile che “la Omicron stia trovando la sua nicchia ecologica e che stia progressivamente sostituendo la Delta, ma in Italia abbiamo ancora circa il 60% di casi di Covid da Delta e il 40% circa Omicron”. E’ in queste percentuali, combinate con quelle sulla copertura vaccinale, che andrebbero cercate le cause dell’aumento dei ricoveri. “Essere vaccinati da oltre quattro mesi significa rischiare maggiormente l’infezione, sia con la Omicron sia con la Delta e non si può escludere che la crescita della curva dei ricoveri si debba a un maggior numero di casi di Delta”.
Ad aggiornare l’identikit della Omicron contribuisce infine il fatto che “nel suo nucleocapside ci sono ben sei mutazioni, contro le tre della Delta, e questo – osserva Broccolo – potrebbe mettere ulteriormente a rischio l’efficienza dei test antigenici”. Si può ancora ipotizzare che “possa essere il primo passo verso la fine della pandemia, ma Omicron è così trasmissibile che attualmente non si può escludere che possa generare una nuova variante”.