Medicina di precisione: scienza e pazienti chiedono risoluzioni per portare scienze omiche nelle pratiche cliniche

Tra le richieste: inserire il sequenziamento di ultima generazione nei LEA, creare una rete di laboratori esperti connessi ai centri clinici e un piano nazionale per la medicina di precisione

In Italia almeno 100mila persone non hanno una diagnosi, oltre la metà potrebbe trovarla grazie al sequenziamento dell’esoma: ma i test non sono ancora previsti nei LEA come prima scelta

 

Roma, 16 novembre 2022 – Analizzare il genoma umano per individuare le cause e i meccanismi di una malattia e per identificare la più efficace strategia terapeutica da utilizzare oggi è possibile, tanto nelle malattie genetiche, per lo più rare, quanto in molte tipologie di tumore. A permettere questo sono le scienze omiche, un approccio solo relativamente nuovo per la scienza – nato e sperimentato all’inizio soprattutto su malattie e tumori rari – che include diverse tipologie di analisi del genoma.

 

Le principali metodologie – alle quali ci si può riferire semplificando come test di Next-Generation Sequencing (NGS) o sequenziamento di nuova generazione – sono: il sequenziamento WES (Whole Exome Sequencing) che analizza la parte codificante del genoma, la più utilizzata al momento; l’analisi del trascrittoma (TS), che individua eventi che impattano sull’espressione genica in termini quantitativi e qualitativi; l’analisi del metiloma, che consente di validare funzionalmente le varianti genomiche di incerto significato.

 

Le capacità tecniche di eseguire queste indagini esistono già da molti anni, oggi però ci sono le condizioni per trasferirle da un utilizzo limitato prevalentemente alla ricerca nella pratica clinica, segnando così un enorme salto in avanti del Paese nella capacità diagnostica e nelle terapie di precisione. Negli ultimi 20 anni la ricerca genetica ha infatti vissuto una rivoluzione tecnologica che ha abbattuto di oltre 200mila volte i costi, passando da circa 100 milioni a 500 euro, e i tempi delle analisi genomiche, permettendone l’utilizzo su larga scala, mentre la pratica clinica e diversi studi ne hanno dimostrato la costo efficacia.

Le tappe per un concreto passaggio alla pratica clinica sono già delineate nelle raccomandazioni “Trasferimento delle tecniche omiche nella pratica clinica” elaborate nel 2020 dal Consiglio Superiore di Sanità (CSS): ora spetta al nuovo Governo far sì che si possa procedere velocemente alla messa a terra. Di questo si è discusso questa mattina con clinici, associazioni pazienti ed istituzioni, nel corso di un convegno organizzato OMaR – Osservatorio Malattie Rare, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e Orphanet Italia, con il patrocinio di BITS – Società Italiana di BioinformaticaFondazione Hopen Onlus e SIBioC – Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica – Medicina di Laboratorio e con il contributo non condizionante di “JuliaOmix™ di GenomeUp, Roche Diagnostics e Thermo Fisher Scientific, al quale hanno preso parte anche il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, con un video e le Senatrici Ylenia Zambito e Sandra Zampa, rispettivamente segretario e membro della X Commissione “Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale” del Senato della Repubblica.

 

Tra le principali indicazioni date nel documento del CSS ci sono l’inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) del sequenziamento WES come indagine di prima scelta o come approfondimento diagnostico, soprattutto nelle malattie rare, nelle malattie oncologiche e nello studio del microbioma; la creazione di una rete nazionale di strutture specializzate e certificate; la creazione di sinergie tra questi e i centri di ricerca e, infine, ma non di minore importanza, la promozione di un Piano Nazionale per la Medicina di Precisione. “Sono più di 10 anni che a livello istituzionale si lavora su questi temi, le scienze omiche sono state più volte inserite tra le priorità del Ministero della Salute – ha detto Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttore di Osservatorio Malattie Rare, introducendo il convegno – e un primo passo importante è stato la Legge di Bilancio 2021 che ha istituito un Fondo di 5 milioni di euro annui per l’esecuzione dei test NGS finalizzati alla profilazione genomica dei tumori. Un primo passo che non può rimanere isolato, ma che va calato in un contesto più ampio di organizzazione del sistema e allargamento agli altri possibili impieghi delle scienze omiche, a partire dal tema delle diagnosi, che per il nostro SSN rappresentano ancora una criticità. Sarebbe utile tenere conto di  tutto questo nell’impiego dei fondi del PNRR”.

 

“A volte si parla, in relazione a questi progressi scientifici, di ‘medicina personalizzata’, concetto che implica la conoscenza complessiva di una persona. Al momento è però più realistico parlare, come stiamo facendo oggi, di medicina di precisione – ha spiegato il Prof. Bruno Dallapiccola,  Direttore Scientifico Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – Ci sono infatti da un lato migliaia di mutazioni di cui non conosciamo il significato, che con l’uso sempre più diffuso delle scienze omiche riusciremo a definire nella loro funzione, e dall’altro lato sappiamo che ogni persona è il risultato dell’interazione tra il DNA e l’esposoma, cioè la combinazione tra gli stili di vita, i farmaci, l’alimentazione e l’ambiente, che modulano la funzione dei geni. In attesa di riuscire a mettere insieme tutti i pezzi del complesso mosaico della vita, magari con l‘ausilio dell’intelligenza artificiale, è più corretto fare riferimento alla medicina di precisione, una medicina che non considera tanto una specifica persona quanto piuttosto uno specifico bersaglio molecolare collegato alla malattia di cui quella persona è affetta. Questo non sminuisce, ma valorizza la straordinaria rivoluzione che le scienze omiche hanno prodotto e porteranno, a partire dalle malattie e dai tumori rari. Basti pensare che almeno l’80% delle malattie rare ha una base genetica, e che il sequenziamento dell’esoma è risolutivo in oltre il 60% dei pazienti senza diagnosi con costi contenuti ed un risparmio di risorse per il SSN. Senza dimenticare l’impatto che la diagnosi ha sulle famiglie che finalmente riescono a mettere fine ad un’odissea che spesso si protrae per molti anni”.

 

MEDICINA DI PRECISIONE E SCIENZE OMICHE COME AMBITO DI INCONTRO TRA LABORATORIO, CLINICA, INTELLIGENZA ARTIFICIALE E TERAPIE AVANZATE

 

“Con la genomica è possibile contribuire a chiarire meccanismi ancora sconosciuti, si possono identificare biomarcatori diagnostici e prognostici e quindi capire quale può essere la risposta ad un trattamento farmacologico: sviluppare la genomica nella pratica clinica vuol dire rendere il sistema più efficiente, a vantaggio di tutti, per la medicina predittiva, per le diagnosi e per la scelta del percorso terapeutico – ha affermato il Prof. Paolo Gasparini, Presidente della SIGU – Società Italiana di Genetica Umana – Per garantirne lo sviluppo è importante ripensare il processo diagnostico come sempre più strettamente correlato alla ricerca clinica e alla ricerca di base e quindi fare un salto culturale: la comprensione dei meccanismi molecolari della malattia devono essere considerati parte necessaria e integrante dei percorsi di cura, accorciando le distanze tra clinica e laboratorio”. La medicina di precisione, e quindi le scienze omiche, sono quindi il nuovo ambito di incontro tra medicina di laboratorio, clinica, farmacologia, intelligenza artificiale, biostatistica, bioinformatica e ricerca sulle terapie avanzate. Un sistema complesso che necessita di essere organizzato per sfruttarne a pieno le potenzialità e che necessita appunto di un salto in avanti dal punto di vista culturale, come è stato diverse volte ricordato nel corso del convegno Verso un Piano Nazionale per la Medicina di Precisione: malattie rare laboratorio delle scienze omiche” organizzato OMaR – Osservatorio Malattie Rare, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e Orphanet Italia, con il patrocinio di BITS – Società Italiana di BioinformaticaFondazione Hopen Onlus e SIBioC – Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica – Medicina di Laboratorio, e con il contributo non condizionante di “JuliaOmix™ di GenomeUp, Roche Diagnostics e Thermo Fisher Scientific.

 

“La Medicina di Laboratorio rappresenta una disciplina clinica, in continua evoluzione, con un ruolo assolutamente fondamentale per la Medicina di Precisione – ha detto il Professore Marcello Ciaccio, Presidente eletto di SIBioC – Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica, che ha dato il suo patrocinio all’incontro – Questo impone un continuo aggiornamento finalizzato all’utilizzo nella pratica clinica dei test di laboratorio appropriati, tenendo conto della qualità, del rapporto costo/beneficio e delle modalità di esecuzione, con l’obiettivo comune di migliorare l’outcome del paziente. Ad esempio, nell’ambito dello screening neonatale si sta considerando la possibilità di applicare nella routine la metodica WES. Questo da un lato porterebbe all’identificazione di un maggior numero di patologie, ma dall’altro lato anche di mutazioni non patologiche e, pertanto, sarà necessario sviluppare un sistema che preveda un’integrazione tra la Medicina di Laboratorio e la Medicina Clinica al fine di interpretare in modo appropriato i risultati”.

Tanto più si va più verso un utilizzo frequente delle scienze omiche e quindi verso la raccolta di un numero maggiore di dati complessi e sensibili, tanto più sarà utile, e necessario, spingere sulla strada della digitalizzazione in tutti gli ambiti, incluso l’approccio clinico. Tra i centri che senza dubbio già oggi richiedono servizi di digitalizzazione ci sono quelli di genetica medica. “È essenziale che clinica e laboratorio comunichino tra loro attraverso specifiche metodiche che consentano di analizzare, confrontare e conservare i dati che emergono dalle analisi omiche in modo univoco, così che la stratificazione dei pazienti e delle varianti genetiche possano essere interpretate sempre in modo univoco – ha spiegato Aldesia Provenzano, Laboratorio di Genetica Medica, Croce Rossa Italiana Firenze – Può accadere infatti che vi siano pazienti con fenotipi di malattia simili, ma con varianti genetiche/genomiche differenti, ed è fondamentale quindi poter categorizzare i pazienti dal punto di vista genetico e correlare questi risultati con la clinica e garantire il feedback dei risultati ai servizi sanitari, al fine di garantire le terapie più adeguate. Inoltre, diventa ormai indispensabile garantire che la nuova raccolta di dati clinici avvenga in collaborazione con l’infrastruttura sanitaria esistente, e che si sviluppino nuove risorse computazionali per l’analisi dei dati su larga scala”.

 

La gestione dei dati, la loro conservazione ed elaborazione hanno avuto una particolare attenzione nel corso del convegno ‘Verso un Piano Nazionale per la Medicina di Precisione: malattie rare laboratorio delle scienze omiche’. “La produzione di dati genomici sta avendo un’ulteriore accelerazione con la comparsa su mercato di nuovi strumenti di sequenziamento che permettono di analizzare, con una sola macchina, fino a 20.000 genomi all’anno – ha dichiarato il Prof Raffaele Calogero, docente dell’Università di Torino  e Presidente della Società Italiana di Bioinformatica (BITS), che ha dato il suo patrocinio al convegno – Abbiamo la necessità impellente di costruire un ‘dataverso’ in cui i dati siano allo stesso tempo archiviati in modo sicuro, rispettando tutte le regole richieste dal GDPR Europeo, e al contempo possano essere analizzati in modo da essere efficacemente utilizzabili nella pratica clinica permettendo una sinergia, al momento non in essere, tra tutte le piccole e grandi entità che costituiscono la galassia della sanità pubblica e privata italiana. Purtroppo, anche se le tecnologie per la costruzione di un ‘dataverso’ efficiente sono ad oggi disponibili, ci sono grosse difficoltà alla sua realizzazione. Le difficoltà sono prevalentemente collegate alle caratteristiche di questa nuova tipologia di dati e all’integrazione del dato genomico in contesti quali le cartelle cliniche elettroniche. Inoltre, la formazione del personale medico nell’uso ed interpretazione di dati genomici complessi è ancora molto limitata, anche a causa dell’estrema velocità di evoluzione delle piattaforme tecnologiche. Oggi però, grazie agli investimenti sui temi della digitalizzazione, è il momento in cui è necessario che il nostro Paese compia il salto di qualità per rimanere allineato al resto dell’Europa”.

 

Anche il Prof. Andrea Lenzi, Presidente del Comitato Nazionale di Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha insistito sulla necessità che l’Italia faccia un salto culturale, oltre che in termini di risorse umane ed infrastrutture, verso l’uso delle scienze omiche in pratica clinica, senza dimenticare in questo processo i temi della digitalizzazione e dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, che può beneficiare dei fondi del PNRR. “Dobbiamo sempre ricordare che dietro i dati clinici ci sono delle persone – ha detto il Prof. Andrea Lenzi – ed occorre, quindi, rispettare dei requisiti etici e di sicurezza. L’intelligenza artificiale elabora, ma le regole devono stabilirle degli esseri umani, ed occorre lavorare sulla formazione del nostro personale sanitario. Parliamo di dati che possono produrre diagnosi e terapie molto avanzate che portano davvero ad una medicina di precisione”. Oltre che sull’importanza della digitalizzazione il Prof. Lenzi si è soffermato proprio sulla stretta connessione tra le scienze omiche e lo sviluppo delle terapie avanzate. “Il CNBBSV – ha sottolineato il prof. Andrea Lenzi – ha prodotto recentemente un ‘Concept paper sullo stato delle biotecnologie avanzate in Italia’, e qui il tema delle malattie rare e della genetica sono dominanti. È in questo ambito, delle malattie e tumori rari, che si sono sviluppate le prime terapie geniche e di rigenerazione cellulare. Rendere maggiormente accessibili le scienze omiche significa dare impulso alle nuove strategie terapeutiche personalizzate uscendo dalla logica del singolo caso, interessante sul piano scientifico, per andare verso la pratica clinica con vantaggi anche in termini di sostenibilità, questione indispensabile da affrontare per una sanità sana”.

 

 

SCIENZE OMICHE, UNA SVOLTA NELLA DIAGNOSI DELLE MALATTIE RARE E PER L’IDENTIFICAZIONE DI MALATTIE SENZA NOME

 

Avere una diagnosi corretta, in tempi brevi, il più possibilmente precoce e a costi sostenibili: il mondo scientifico e quello dei pazienti non ha dubbi, un corretto impiego delle scienze omiche potrà costituire veramente una svolta verso questi obiettivi. E’ quanto emerso in maniera netta dal convegno “Verso un Piano Nazionale per la Medicina di Precisione: malattie rare laboratorio delle scienze omiche” organizzato OMaR – Osservatorio Malattie Rare,Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e Orphanet Italia, con il patrocinio di BITS – Società Italiana di BioinformaticaFondazione Hopen Onlus e SIBioC – Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica – Medicina di Laboratorio, e con il contributo non condizionante di “JuliaOmix™ di GenomeUp, Roche Diagnostics e Thermo Fisher Scientific, al quale hanno preso parte anche il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, con un video e le Senatrici Ylenia Zambito e Sandra Zampa, rispettivamente segretario e membro della X Commissione “Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale” del Senato della Repubblica. 

 

Si parte da un dato: in Italia circa 100mila persone hanno una patologia senza avere una diagnosi, e probabilmente si tratta di una stima al ribasso alla quale andrebbero aggiunti tutti coloro che hanno una diagnosi incerta o errata.  La diagnosi rimane il primo grande scoglio da affrontare e mediamente arriva con 4.8 anni di ritardo, 1 paziente su 3 riceve una prima diagnosi errata con conseguenti terapie non idonee, e alcuni non arrivano mai a una diagnosi.

“Non si è mai pronti alla diagnosi di una malattia genetica rara, ma è l’unica strada per evitare un vero e proprio calvario fatto di indicazioni errate, farmaci controindicati, indagini e percorsi riabilitativi inappropriati è di trovare associazioni di riferimento: un tempestivo screening genetico equivale ad un enorme guadagno di qualità di vita – ha detto Fabiana Novelli, Presidente dell’Associazione SCN2A Italia Famiglie in Rete – Non tutte le famiglie hanno la possibilità di spostarsi in centri d’eccellenza per cui l’assenza di una rete nazionale di strutture specializzate e certificate per le diagnosi genetiche genera enormi disagi nelle famiglie che spesso nel vivere condizioni di disabilità tendono a disgregarsi. Quando i laboratori di genetica, la clinica e la bioinformatica non comunicano in maniera sinergica si naviga nel buio, non si applica una medicina di precisione ma una medicina fatta di tentativi e di prove empiriche estenuanti con un forte impatto sulla persona e sulle famiglie in termini di perdita di qualità di vita o della vita stessa, per questo serve un piano che sia veramente nazionale per le scienze omiche: SCN2A è il classico esempio di un gene identificato circa 10 anni fa, figlio delle scienze omiche che se non ci fossero state oggi non sapremmo altro che i sintomi di questa malattia e invece stiamo lavorando, insieme ai clinici, per la creazione di un database che, un domani, potrebbe consentire anche di attrarre in Italia il piano di sviluppo della terapia genica in fase I/II”.

 

“Senza diagnosi non è possibile una presa in carico clinica a breve e lungo termine, senza diagnosi non si rientra nella ricerca e non c’è confronto tra pari – queste le parole di  Federico Maspes, Fondatore e Presidente della  Fondazione HOPEN Onlus, che ha patrocinato il convegno (qui per conoscere la storia e le attività della Fondazione HOPEN) – Certo ci sono i tentativi di migliorare la qualità della vita, trattare i sintomi – non la malattia, ma manca l’orientamento, le figure di riferimento e il mondo delle sperimentazioni cliniche è precluso, per non parlare delle terapie. È come avere dentro di sé una informazione importante, ma nascosta. Con le analisi del genoma potremmo tirar fuori queste informazioni, aiutare le famiglie, aiutare la ricerca, magari un domani avere delle terapie, ma fin quando questi esami di ultima generazione saranno fatti solo in pochi centri, probabilmente sganciati tra loro, e solo dopo una serie di altri esami considerati ancora oggi come ‘prima scelta’ tutto questo sarà difficile. Se inserissimo nei LEA questi esami, come prima scelta, e stabilissimo parallelamente un codice per le malattie rare senza diagnosi, riconoscendo intanto almeno per queste la necessità di sequenziare l’esoma – tema sollevato nella scorsa legislatura dalla Sen. Paola Binetti in una interrogazione rimasta senza risposta – faremmo un enorme passo in avanti”.

 

“Mancano di fatto programmi dedicati appositamente alle malattie senza diagnosi per garantire ai pazienti un accesso tempestivo alla diagnosi e al supporto sociale – ha ricordato la Sen.Paola Binetti, già Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Malattie Rare, nel corso dell’evento – Ottenere una diagnosi è spesso la chiave per accedere a un’assistenza medica e sociale efficace ma, paradossalmente, se non c’è una diagnosi, non c’è neppure un numero di codice e quindi non si può accedere a determinati esami di nuova generazione, a carico del SSN, più sofisticati e più cari, ma indubbiamente più precisi, come i test genomici. Durante la precedente legislatura abbiamo chiesto al Ministro della Salute di allora, Roberto Speranza, se ritenesse necessario attribuire alle malattie rare senza diagnosi un codice che consentisse ai pazienti di accedere, a carico del SSN, a tutte le indagini necessarie per chiarire la loro mancata diagnosi il più tempestivamente possibile e poter contare sui LEA. Purtroppo, però, non abbiamo ricevuto alcun riscontro al riguardo”.

 

“La diagnosi costituisce il punto fondamentale per l’aspettativa e qualità di vita delle persone con malattia rara – ha sostenuto il Dott. Antonio Novelli, Direttore Laboratorio di Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – Dal 2013 abbiamo in corso un progetto di genomica, con diversi percorsi clinici e progetti di ricerca dedicati alle malattie rare senza diagnosi, teso a trasferire le nuove tecnologie omiche alla pratica clinica ed offrire la possibilità di ottenere diagnosi più rapide e terapie sempre più efficaci a costi ridotti rispetto al passato. Sono stati presi in carico più di 1.670 pazienti e grazie a queste nuove metodologie è stato possibile dare una diagnosi a 1.000 bambini e adolescenti con malattie rare a eziologia sconosciuta, quindi circa 2 casi su 3 e, ed identificare circa 100 nuovi geni-malattia: scoperte che saranno utili ad altre famiglie e ricercatori per stabilire il rischio genomico ed aprire la strada alla scoperta di farmaci. Comprendere il ruolo che la genomica può avere sul nostro sistema sanitario è essenziale per rafforzare la fiducia dei cittadini e migliorare il rapporto con i pazienti e i vantaggi clinici sono evidenti nelle malattie rare e nelle patologie tumorali, dove attraverso test genetici più rapidi e accurati, milioni di pazienti trovano e troveranno le risposte adeguate per prevenire le malattie e ricevere terapie adeguate”.

 

“Ad oggi le oltre 7.000 malattie genetiche rare note necessitano di una diagnosi precoce che eviti lunghe e dispendiose odissee diagnostiche e consenta l’accesso a cure, prevenzione e nuove terapie.  Lo screening genetico neonatale consentirebbe una diagnosi genetica a ‘tempo zero’ a tutti i neonati. Trattandosi di un approccio di medicina genomica, che coinvolge anche individui asintomatici, il tema è molto complesso e necessita di un approccio interdisciplinare che includa tutte le figure professionali. Il progetto Screen4Care è finanziato dalla EU per 5 anni e dovrà disegnare un percorso ottimale di screening genetico neonatale basato su omica e di nuovi mezzi digitali che dovranno affiancare lo screening genetico e facilitare la gestione e l’utilizzo di dati sia genetici che clinici. Lo screening sarà effettuato in circa 30.000 neonati in Europa. Il progetto ha 36 partners incluse molte industrie farmaceutiche e di diagnostici in vitro”, ha evidenziato Alessandra Ferlini, Professore di Genetica Medica, Università di Ferrara.

 

 

ONCOLOGIA, GRAZIE ALLE SCIENZE OMICHE SI SVILUPPA IL MODELLO MUTAZIONALE


Le terapie potranno essere indirizzate verso la mutazione, non più verso l’organo: è un nuovo modo di guardare al cancro, con una diversa gestione, che passa  attraverso i Molecular Tumor Board

 

Non solo malattie rare e percorsi diagnostici, l’approccio omico trova un impiego molto importante anche in campo oncologico e inserirlo in maniera organica e definitiva nella pratica clinica può segnare un cambio di passo davvero importante, aprendo l’era di quello che viene definito modello mutazionale. E’ quanto emerso oggi nel corso del convegno “Verso un Piano Nazionale per la Medicina di Precisione: malattie rare laboratorio delle scienze omiche” organizzato OMaR – Osservatorio Malattie Rare, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e Orphanet Italia, con il patrocinio di BITS – Società Italiana di BioinformaticaFondazione Hopen Onlus e SIBioC – Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica – Medicina di Laboratorio, e con il contributo non condizionante di “JuliaOmix™ di GenomeUp, Roche Diagnostics e Thermo Fisher Scientific.

 

L’approccio omico in oncologia è infatti utile tanto per i tumori rari quanto per quelle persone che, affette da un tumore apparentemente più comune, abbiano una mutazione rara, che va però ricercata. “Per i pazienti con tumore al polmone in stadio avanzato, la caratterizzazione delle alterazioni a carico dei geni predittivi di risposta al trattamento con farmaci a bersaglio molecolare rappresenta la chiave di volta per ottenere una maggiore efficacia e minimizzare gli effetti collaterali – ha sostenuto il Prof. Umberto Malapelle, Professore in Anatomia Patologica e Responsabile del laboratorio di Patologia Molecolare Predittiva all’Università Federico II di Napoli – Alcuni di questi marcatori, come le fusioni a carico di NTRK, RET ed ALK e le mutazioni a carico di BRAF, sono presenti a basse frequenze (dall’1 al 7% dei pazienti con adenocarcinoma polmonare), ma quando ricercate e trovate consentono l’accesso a trattamenti specifici ed efficaci. Per fare in modo che questi marcatori vengano ricercati insieme a quelli più frequenti (come le mutazioni a carico di EGFR e di KRAS), considerata la tipologia di campioni biologici a disposizione in questo specifico setting, si rende mandatoria l’adozione di tecnologie di sequenziamento di nuova generazione e la strutturazione di modalità di refertazione delle alterazioni rilevate che diano agli oncologi la possibilità di pianificare il migliore percorso terapeutico possibile”.

 

“La medicina di precisione vale per i tumori frequenti come per i tumori rari – ha spiegato il Prof. Paolo G. Casali, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – In un certo senso, se è vero che con la medicina di precisione anche i tumori frequenti diventano rari, è altresì vero che quelli rari diventano rarissimi. La risposta più logica alla rarità è costituita dalla collaborazione in rete. In Italia, dopo un’Intesa Stato-Regioni del 2017 sulla creazione della Rete Nazionale Tumori Rari (RNTR), ora si è finalmente giunti alla selezione, da parte delle Regioni in collaborazione con AGENAS, dei centri oncologici destinati a farne parte. Questo ancora non vuol dire avere realizzato la Rete, ma perlomeno il primo passo è stato compiuto. Allora, si potrebbero prevedere meccanismi privilegiati per l’accesso alle omiche all’interno della Rete, così da massimizzarne il rapporto costo/efficacia per l’inevitabile razionalizzazione che ne risulterebbe. Anche l’accesso a farmaci off-label eventualmente suggeriti dalle indagini molecolari potrebbe essere reso più flessibile all’interno di una rete per definizione formata da centri clinici esperti designati dalle rispettive Regioni”.


Il fatto che oggi sia possibile individuare il meccanismo che porta ad una proliferazione tumorale e misurarlo con specifici marcatori, indipendentemente dalla sede del tumore stesso, è un cambiamento epocale in oncologia e nei relativi approcci terapeutici. Se fino a pochi anni fa, infatti, i farmaci oncologici venivano approvati per il trattamento di specifiche patologie tumorali per lo più collegate ad un organo o tessuto, oggi si fa strada un modello nuovo, il “modello mutazionale”. “Oggi è possibile approvare un farmaco perché è attivo su una determinata mutazione, indipendentemente dalla patologia, dall’età, dal genere – ha affermato il Prof. Paolo Marchetti, Direttore Scientifico IDI IRCCS – Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma – ma non solo. L’assioma mutazione-farmaco non basta più e siamo in grado oggi di considerare anche le vie di interazione e da qui scegliere la migliore strategia terapeutica. Questo anche grazie alla progressiva disponibilità sul mercato, e a costi sempre più competitivi, di test di profilazione genomica, sia attraverso un prelievo istologico o anche, in molti casi, attraverso un normale prelievo di sangue. Lo studio “Rome Trial” del quale sono recentemente stati presentati i risultati, e che è stato condotto su 780 pazienti, ha mostrato che l’esecuzione di un test molecolare esteso e la successiva analisi dei risultati e delle implicazioni da parte di un ‘Molecolar Tumor Board’ (MTB) ha portato a benefici per 4 pazienti su 10 consistenti soprattutto in informazioni utili per impostare nuove terapie – anche a base di farmaci a bersaglio molecolare – correggere quelle già seguite o accedere a farmaci in sperimentazione.  È un cambiamento di approccio che impone anche nuovi modelli organizzativi dove devono avere un ruolo cruciale i Molecular Tumor Board, organismi multidisciplinari che sappiano gestire la complessità e la comprensione dei test del genomic profiling, la scelta dei farmaci (o delle combinazioni) attivi che possono essere già disponibili e rimborsati, oppure disponibili ma non registrati per la specifica indicazione (off-label) o in fase di sperimentazione clinica. Un network di MTB accreditato dall’AIFA secondo criteri e procedure trasparenti per la composizione, le attività, la tracciabilità e l’elaborazione dei dati può rappresentare il nuovo strumento di gestione del modello mutazionale nella normale pratica clinica”.